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La Tempesta Incombente - Capitolo 12


“E che mi dici dei giganti?” disse Kaya, raggiante. “I due che c’erano nei sotterranei mi hanno dato un bel da fare. Riusciamo a racimolarne qualcuno?”

 

“Sono sicuro che potrà essere fatto” disse il Cavaliere della Disperazione, un tipo in armatura scura dal viso scavato.

 

“Capogilda” disse Teysa, perdendo la pazienza, “mi volete ascoltare per un momento?”

 

“Sto ascoltando” disse Kaya. “Solo che non sono d’accordo.”

 

“Non potete esporvi a rischi inutili” disse Teysa.

 

“Sì che posso” disse Kaya, sbadigliando. “E poi non sono inutili. E dei gargoyle? Anche se forse non sono proprio il massimo sottoterra-”

 

“Posso parlarvi in privato?” disse Teysa, seccata.

 

Kaya lanciò un’occhiata al Cavaliere della Disperazione e alla sua scorta, poi fece spallucce. “Mi aspetto un rapporto sulle forze che riuscirai ad assemblare.”

 

“Molto bene, Capogilda” disse il cavaliere. Lasciò la stanza con lo sferragliamento della sua armatura pesante. I soldati e i sacerdoti lo seguirono di buon passo.

 

Kaya venne lasciata sola con Teysa, in quella piccola camera per le conferenze in cima a Orzhova. Come ogni cosa all’interno della grande cattedrale, era riccamente ammobiliata, con ritratti incorniciati d’oro di banchieri del passato che osservavano la stanza dalle pareti ed un pesante tappeto viola che ammorbidiva il duro pavimento di pietra. Il tavolo finemente intarsiato era lucido come uno specchio. Kaya non poté che domandarsi quanti dei legami di debito che gravavano sulla sua anima fossero stati forgiati in quel luogo, in quella stanza. Delle vite rovinate dal segno della penna di un qualche burocrate.

 

“Dobbiamo fare un discorso” disse Teysa, seccamente. “Sai-”

 

“Cosa c’è da discutere?” disse Kaya, guardando l’altra donna negli occhi, in segno di sfida. “Tutti voi mi avete resa capogilda, quindi la mia decisione è definitiva.”

 

Io ti ho resa capogilda perché era l’unico modo di farti avere salva la vita” disse Teysa. “Gli altri erano pronti a ucciderti prima che ti svegliassi, e a rischiare che i debiti personali del Nonno venissero trasferiti a chiunque ti avesse tagliato la gola. Io li ho convinti che in questo modo sarebbe stato molto più sicuro.” Si strofinò gli occhi con la base del palmo, come se stesse iniziando a pentirsi di quella decisione, e Kaya si addolcì leggermente.

 

“Lo so.” disse lei. “Veramente. E le sono grata. So che non deve rischiare la pelle per me.”

 

“Tu hai aiutato me quando ne avevo bisogno” disse Teysa. “E questo non lo dimenticherò.”

 

“Era un lavoro su commissione” disse Kaya. O così pensavo. Bolas, quel serpente viscido, sapeva che seguendo le sue istruzioni lei sarebbe stata intrappolata lì dentro.

 

“E io devo pensare a ciò che è meglio per la gilda” disse Teysa. “Se ti fai ammazzare combattendo contro Vraska o chi altri, potrebbe essere una catastrofe per gli Orzhov.”

 

“Questo lo capisco” disse Kaya. “Ma sono piuttosto brava a non farmi ammazzare, sa?”

 

“Posso immaginare” disse Teysa, con un leggero sorriso. “Ma, come ho detto, è un rischio non necessario.”

 

“Invece è necessario” disse Kaya. “Devo un favore a Ral.”

 

“Ci saranno le forze Orzhov a supportarlo-”

 

Io gli devo un favore. Non gli Orzhov. Per quello dovrò essere là. Capisce?”

 

Teysa fissò Kaya per un lungo attimo, poi scosse la testa.

 

“No” disse lei. “Ma capisco di non poterti far cambiare idea.”

 

Kaya mostrò un sorrisetto. “Mi sta bene. Prometto che starò attenta.”

 

“Sarebbe meglio” disse Teysa. Abbassò lo sguardo verso i rapporti delle forze militari, delle pergamene sparse lungo tutto il lungo tavolo, e sospirò.

 

“Ha bisogno di aiuto con queste?” disse Kaya.

 

“No.” Teysa fece un gesto con la mano. “Vai a riposarti. Mi assicurerò che Ral abbia le truppe di cui ha bisogno.”

 

Kaya evitò di farsi uscire uno sbuffo di sollievo, fece un cenno a Teysa con la testa e sgusciò fuori dalla sala delle conferenze, attraversando la porta con una vampata di luce viola. Non proprio necessario, ovviamente, ma ogni tanto le piaceva camminare attraverso le pareti, giusto per dimostrare a sé stessa che poteva ancora farlo. Quell’enorme cattedrale stava iniziando ad essere sempre più una gabbia, dorata e decadente, ma cionondimeno limitante.

 

Poteva percepire le obbligazioni che aveva ereditato dal fantasma di Karlov, quando le sue lame lo avevano trafitto. Si avvinghiavano attorno a lei come mille catene spirituali, e ciascuna la legava ad un qualche povero debitore che aveva fatto un patto con la Chiesa degli Accordi. Sganciarle le costava forza, e agli Orzhov costava denaro. Spezzarne troppe insieme avrebbe significato il collasso di una delle due cose.

 

Ma sarebbe veramente così terribile? fantasticò Kaya, pigramente, mentre percorreva i corridoi in forma spettrale, evitando le guardie per abitudine. Avrebbe potuto farlo, spezzare tutte le catene, dichiarare un giubileo e cancellare tutti i debiti con un gesto della sua mano. Gli Orzhov sarebbero collassati, e tutto il sontuoso oro e il marmo avrebbero rivelato di essere marci fino al midollo. Forse farei un favore a Ravnica.


Assoluzione Eterea | Eric Deschamps
Assoluzione Eterea | Eric Deschamps

Ovviamente sarebbe morta nel processo. Che è un po’ il punto dolente. Non che avesse paura, per l’esattezza, ma non sarebbe rimasto nessun altro. Quando Kaya aveva lasciato casa sua, aveva giurato di sacrificare ogni cosa per riparare il mondo spezzato che si era lasciata alle spalle. Se muoio qui, tutti a casa moriranno con me. Se non ora, tra dieci o vent’anni, quando il cielo si strapperà definitivamente.

 

E poi, va bene, ho un po’ di paura.

 

Oltrepassò la porta dei suoi alloggi e scosse la testa per scansare quegli oscuri pensieri. Come capogilda, aveva naturalmente una suite particolarmente opulenta nel pieno cuore di Orzhova. E con essa uno staff di una decina di servitori, che avrebbero dovuto vivere lì con lei per soddisfare ogni suo bisogno. Kaya li aveva mandati via, visto che avere tutte quelle persone così vicino tutto il tempo la rendeva nervosa, quindi le sue stanze erano stranamente vuote, troppo grandi per la sua occupante. Girovagò tra di esse come un fagiolo secco nel suo baccello, e si fermava prevalentemente nella sua colossale camera da letto e nel bagno adiacente.

 

Quel giorno, quando si materializzò dall’altro lato della porta della grande sala d’ingresso, spaventò un’anziana donna vestita con la tunica tipica dei servitori del palazzo, che era stranamente in piedi di fronte ad un grosso specchio insieme a due bimbi piccoli, al suo fianco. La donna sbatté più volte le palpebre per lo shock, vedendo Kaya, e uno dei bambini, un ragazzino di dieci o undici anni, si dimenò e rimase a bocca aperta.

 

“Come riesci a farlo?” disse. “Camminare nei muri.”

 

“È un trucchetto” disse Kaya, con modestia.

 

“Svet!” disse l’anziana, sculacciandolo. Una bambina di poco più piccola sbirciò Kaya da sotto il braccio di lei. “Tutti e due, mostrate rispetto. Questa è la vostra capogilda.” Si inchinò profondamente, costringendo i bambini a fare altrettanto.

 

“Grazie” disse Kaya, sentendosi a disagio. “Alzatevi, vi prego. Cosa state facendo qui?” C’erano delle guardie fuori dai suoi alloggi, anche se lei le aveva evitate come al solito.

 

“Il mio nome è Olgaia” disse l’anziana donna. “Non avevo intenzione di disturbarvi, Capogilda. Ma abbiamo sentito… che…”

 

“La nonna dice che perdonerai i debiti di quelli che te lo chiedono di persona” disse Svet.

 

Kaya sussultò. Le voci stavano iniziando a diffondersi, quindi. Non dovrei proprio. Se Teysa l’avesse scoperto, avrebbe perso le staffe. Ma c’erano così tanti debitori, e ciascuno contribuiva solamente ad una piccola frazione del peso sull’anima di Kaya. Perché non dovrei aiutarli, se ne ho la possibilità?

 

“Non è… proprio così.” Kaya inclinò la testa. “Come mai ti sei indebitata con gli Orzhov?”

 

“Comprai una collana.” Olgaia abbassò la testa. “Ero giovane e sciocca, e pensavo avrebbe potuto attirare l’attenzione di un uomo. Ci riuscì, ma…” Fece spallucce. “Ho passato gli ultimi vent’anni a lavorare in queste lavanderie. Ma gli interessi sulla cifra che devo alla gilda sono più alti del mio salario, quindi il debito non fa che aumentare.” Tirò a sé i suoi due nipotini. “Dalla morte dei loro genitori, mi sono presa cura io di questi due, ma quando raggiungeranno la maggiore età anche loro erediteranno il debito. Vi prego, Capogilda. Voglio soltanto che abbiano la possibilità di avere una vita migliore.”

 

Una collana. Un errore, forse, ma questa donna aveva passato la sua intera vita a pagarne le conseguenze. Quanti bambini lavorano per me, a pagare per gli errori dei loro nonni?

 

Kaya trovò il filo del debito che la connetteva a quel trio, come quando si estraeva un piccolo filo da una fitta matassa. Con uno sforzo di volontà, lo spezzò, percependo un leggero dolore al petto. Olgaia trasalì, e si raddrizzò leggermente.

 

“Sei perdonata” disse Kaya. “Ti chiedo solo… di non raccontarlo a tutti quanti, d’accordo?”

 

“Certamente, Capogilda.” Olgaia si inchinò velocemente. “Grazie. Grazie.”

 

Kaya la mandò via con un gesto della mano, e l’anziana donna spinse i suoi due nipoti fuori dalla porta. Quando se ne furono andati, Kaya sospirò rumorosamente e vagò per la camera da letto, lasciandosi cadere con la faccia contro il grosso materasso di piume del baldacchino decorato.

 

Nella sua mente pesò le catene delle obbligazioni: le pastoie dorate che la legavano. Con un gesto poteva liberare tantissime vite. Tutte tranne la mia. Se voleva credere a Bolas, solamente lui ne sarebbe stato in grado-

 

Kaya si mise seduta velocemente e scosse la testa. Camminò pesantemente verso il bagno, dove si trovava un’enorme vasca in marmo, completa di acqua corrente calda e fredda, un lusso impensabile in quasi tutti i mondi che aveva visitato. Gli Orzhov potevano anche essere un branco di sacerdoti-banchieri senza cuore, rifletté Kaya, ma di sicuro sapevano come farsi un buon bagno.



Non esistevano delle vere e proprie terre selvagge a Ravnica. Dopo più di diecimila anni di civilizzazione, su ogni zolla di terra era stato costruito qualcosa, che era bruciato, poi sotterrato, e infine ricostruito una decina di volte. Le zone di macerie ai margini del Decimo Distretto non erano assolutamente naturali: rappresentavano soltanto l’assenza di civiltà, la sua negazione e distruzione.


Terreno Calpestabile | James Paick
Terreno Calpestabile | James Paick

Probabilmente, pensava Ral, ai clan Gruul piaceva così. Oppure non conoscevano la differenza. Da Planeswalker, aveva già visto delle vere terre selvagge in altri mondi, ma nessun abitante di Ravnica avrebbe potuto capire il vero significato di quella parola. In qualsiasi caso, mentre i Gruul predicavano incessantemente sulla natura e la sua potenza, vivevano tra le rovine. Dei parassiti che raccattavano ciò che le altre gilde avevano creato. Non erano mai stati i principali nemici della Lega Izzet, ma tra tutte le gilde Ral la trovava forse quella più incomprensibile.

 

Era una giornata fredda, ma almeno la pioggia si era fermata per un po’, con solo qualche piovasco occasionale sotto un cielo grigio e senza sole. Diversi giorni a dormire come si deve non avevano fatto riprendere completamente Ral, ma era migliorato molto, così come anche una visita troppo breve da parte di Tomik. Ora indossava il suo lungo cappotto e l’ultima versione del suo accumulatore, completamente carico e pronto all’uso. I bracciali di mizzium sulle sue braccia crepitavano con impazienza.

 

Dietro di lui camminava una compagnia di bruciatori, dei soldati viashino armati di lanciafiamme. Gli umanoidi rettiliani ringhiavano e sbraitavano tra loro, nella loro gutturale variante della lingua comune, facendo entrare e uscire la lingua per denotare la loro eccitazione. Avevano passato quasi tutto il loro tempo a fare pattuglia, limitati all’uso delle loro armi per il rischio di bruciare i laboratori e le officine che proteggevano, quindi Ral immaginò che fossero alla ricerca di un’occasione per sfogarsi in campo aperto.

 

La maggior parte delle forze che li accompagnava, come aveva promesso Aurelia, era stata fornita dalla Legione Boros. Due battaglioni di fanteria marciavano in colonne ordinate: lancieri protetti da scudi davanti ed arcieri dietro. I sergenti dagli elmi dentellati scorrazzavano avanti e indietro tra le fila, strigliando i soldati a causa di alcune infrazioni dell’addestramento che per Ral erano incomprensibili. In testa a ciascun battaglione sventolava orgogliosamente una bandiera da battaglia con l’emblema dei Boros, circondata da un guardia d’onore.


Radunare la Legione | Eric Deschamps
Radunare la Legione | Eric Deschamps

Molti dei soldati Boros si trovavano anche sopra le loro teste. Diversi stormi di cavalieri dei cieli, lancieri a cavallo di roc, volavano bassi sopra la spedizione, perlustrando il terreno di fronte a loro. Condividevano a disagio l’aria con le loro controparti Azorius, che cavalcavano dei grifoni. Dell’altra cavalleria Azorius teneva i fianchi delle forze di terra: diversi squadroni di ussari in lucida armatura per ciascun lato.

 

Cavalcarono attraverso antiche strade e piazze, edifici mezzi crollati e avvinghiati da viticci e alberi in crescita. Alcune parti della zona di macerie erano rimaste in rovina per molto tempo, mentre altre presentavano delle recenti bruciature. Quello era il confine del territorio Gruul, dove i Boros combattevano la loro infinita guerra contro il caos che avanzava. Quando lo superarono, gli alberi erano più grandi, l’erba più alta e le imponenti masse di pietra sbriciolata delle antiche strutture erano sommerse dal verde, come se fossero state dei relitti di navi affondate sotto le onde.

 

La Comandante Ferzhin, accompagnata da una mezza dozzina di giovani assistenti militari, camminò fino al centro della formazione Boros, osservando con i suoi occhi scuri. Lanciò uno sguardo in direzione di Ral quando lui si posizionò di fianco a lei, facendo il doppio dei passi per poterle stare dietro.

 

“Ci siamo quasi” disse Ral. Abbassò lo sguardo per osservare lo strumento nella sua mano, un aggeggio di mizzium e cristallo che i chimimaghi avevano ideato all’ultimo minuto. Una finestrella in cima si illuminava sempre di più man mano che si avvicinavano al nodo, e vibrava leggermente quando lui la mosse in cerchio. “Appena oltrepassato quel muro, credo.”

 

“Mi pare una vecchia piazza” brontolò la minotaura, schermandosi gli occhi con una mano. Un ampio spazio aperto più avanti era fronteggiato da degli edifici in rovina su tre dei suoi lati, incluso un palazzo che era alto almeno quattro piani. “Non mi piace. È un ottimo posto per un’imboscata.”

 

“I Gruul non ci hanno seguiti fino ad ora. Forse non attaccheranno nemmeno.”

 

“Attaccheranno” disse Ferzhin. Le sue labbra si piegarono. “Lo fanno sempre. Preparatevi.”

 

Al limitare della piazza, la minotaura ringhiò un ordine, e la colonna si fermò. I cavalieri dei cieli volavano lentamente in cerchio sopra di loro, mentre la cavalleria attendeva, eccetto lo sbuffo sporadico di qualche cavallo. Ral e Ferzhin si mossero velocemente in avanti all’interno dei ranghi, fino ad arrivare di fronte alla formazione. Dinanzi a loro, al centro della piazza, stava aspettando una sola persona.

 

“Lo riconoscete?” disse Ferzhin.

 

Ral scosse la testa, desiderando per un attimo che Lavinia fosse lì. È lei quella che sa tutto di tutti. “Mi sembra abbastanza chiaro che voglia parlare. E allora parliamo.”

 

La minotaura alzò gli occhi al cielo, ma non disse nulla quando Ral si allontanò per incontrarsi con quello straniero solitario. Era un giovane uomo, chiaramente affiliato ai clan Gruul: pesantemente tatuato, con brandelli di armatura di pelle ed una cresta irrigidita di capelli scuri. Portava un paio di asce a una mano alla cintola, e su di esse aveva appoggiato i palmi mentre aspettava che il suo ospite si avvicinasse, sfoggiando un sorriso insolente.

 

“Hai un bel po’ di coraggio” gridò lui, mentre si avvicinavano. “Un bel po’ di coraggio, a venire qui.”

 

“E io potrei dire lo stesso, ad incontrarci a tu per tu” disse Ral. Guardò il giovane dall’alto in basso. “Io sono Ral Zarek, della Lega Izzet.”

 

“E io sono Domri Rade, capito? Dei clan Gruul.” Le sue labbra si divisero per lasciar spazio ad un sorriso crudele. “Capo di tutti i clan Gruul.”


Domri Rade | Tyler Jacobson
Domri Rade | Tyler Jacobson

Ferzhin ridacchiò. “Borborygmos penso vorrà avere due parole con te se vai in giro a dire cose del genere.”

 

Domri ghignò ancora di più. “Già fatto. Il duello del secolo, l’hanno chiamato.”

 

“E hai vinto tu?” disse Ral, dubbioso.

 

“Bè, io sono qui, o sbaglio?” Domri allargò le mani. “E lui no. Ecco come stanno le cose. Girate quei bei culi scintillanti e smammate finché ancora potete, mi avete capito? Altrimenti saranno guai.”

 

“Non vogliamo stare qui per sempre” disse Ral. “Solo per la durata dell’emergenza.”

 

“Non me ne frega un accidente” disse Domri, sporgendosi in avanti fino ad arrivare a pochi centimetri dal volto di Ral. “Di te, o della tua emergenza. Se questo grosso drago cattivo viene ad infastidirci, combatteremo anche con lui. Combatteremo tutti quanti. I Gruul sono così, capite? Il vecchio Bor-Bor, lui ha provato a parlare, e guardate a cosa lo ha portato. Io non farò lo stesso errore.”

 

“Parole grosse per un solo uomo” disse Ferzhin.

 

“Oh, non preoccuparti.” Domri fece un passo indietro ed allargò le braccia. “Non sono solo.”

 

Un grido penetrante risuonò nell’aria. Ral alzò lo sguardo e vide cadere un cavaliere dei cieli: il fianco del suo grifone era stato dilaniato con una pioggia di sangue da un’aquila mostruosa. Altri uccelli stavano scendendo in picchiata, interi stormi formati da migliaia di falchi, gufi e corvi. Erano lucenti, di uno scuro verde rigoglioso, e Ral riusciva a percepire l’impulso della magia che li permeava.

 

Lui alzò le mani e chiuse i suoi guanti, serrando i pugni. I fulmini crepitarono tutt’intorno a lui, poi si lanciarono nel cielo, colpendo il più grande degli assalitori aerei. L’aquila emise un potente stridio quando andò in fiamme, cadendo rovinosamente nella piazza ricoperta dall’erba, e l’energia continuò a muoversi, passando da un volatile all’altro. I corvi esplosero in vampate di piume nere.

 

“Torniamo nei ranghi!” disse Ferzhin, afferrando Ral per una spalla.

 

“Riesco a gestire qualche uccellaccio-”

 

Ma un altro movimento catturò l’attenzione di Ral. Attorno al perimetro della piazza si stava alzando un polverone, e davanti ad esso riuscì a scorgere una formazione compatta di cinghiali selvatici. Erano enormi, grandi quanto un uomo, con gli stessi tatuaggi intricati che portava Domri e la stessa luminescenza verde scura. Ognuno aveva un paio di massicce zanne supportate da cinquecento chili di muscoli suini. Domri estrasse un’ascia per ciascuna mano e rise selvaggiamente quando i cinghiali lo superarono.


Cinghiale da Guerra alla Carica | Izzy
Cinghiale da Guerra alla Carica | Izzy

“Torniamo nei ranghi” concordò Ral.

 

Fecero appena in tempo, barcollando dietro al muro formato dalla prima linea delle truppe Boros, i cui scudi di metallo usurato si incastravano tra loro con una facilità dettata dall’addestramento. Le loro lance sollevate crearono una difesa impenetrabile, ma i cinghiali continuarono la loro carica con una furia suicida, lanciandosi contro la linea di punte metalliche. La sola massa del loro impatto fece vacillare la linea, facendo indietreggiare i soldati o buttandoli a terra. Perfino impalati e sanguinanti, i cinghiali continuavano a spingere, spezzando i bastoni delle lance che li sorreggevano. Quando si avvicinarono abbastanza, le loro zanne oltrepassavano gli scudi e le armature, lasciando corpi spezzati e dissanguati nell’erba.

 

Le truppe Boros, però, sapevano il fatto loro. Gli uomini e le donne in prima linea lasciavano andare le lance quando i cinghiali riuscivano a spezzarle ed estraevano le spade, avvicinandosi per uccidere le enormi bestie. In alto, il cielo era diventato una lotta spiraleggiante tra uccelli e grifoni, con uno stormo di fastidiosi animali che attaccava ciascun cavaliere dei cieli. I cavalieri tiravano con l’arco con una precisione sovrannaturale, facendo piovere costantemente aquile, falchi e corvi a terra.

 

“Ecco che arrivano” muggì Ferzhin. “Arcieri, pronti!”

 

Attraverso la polvere sollevata dalla carica dei cinghiali, Ral riuscì a intravedere la silhouette di alcune figure in movimento che stavano riversandosi dagli edifici in rovina come un’ondata di muscoli, cuoio e acciaio. Ogni tanto si potevano scorgere delle teste che svettavano rispetto alla massa: giganti con scompigliati capelli multicolore ed enormi clave di pietra. Ral ebbe un improvviso momento di dubbio-ce ne sono veramente un sacco-poi mostrò i denti in un ghigno selvaggio ed urlò alle sue truppe di viashino.

 

“Andate! Mettetevi davanti!”

 

I rettili balzarono in avanti, aggirando i gruppi di soldati Boros impegnati in combattimento ed i pochi cinghiali sopravvissuti rimasti per creare una sottile linea di schermaglia davanti al muro di scudi della Legione. Dietro di loro, gli arcieri scoccarono una salva di frecce con il suono di uno stormo di uccelli in volo, con le piccole aste che sfrecciavano sopra le teste per poi scendere come pioggia scura. I soldati ben addestrati fecero volare un’altra salva prima ancora che quella precedente fosse arrivata a terra, e diverse figure gridarono, inciamparono e caddero durante la carica dell’orda.


Frecce della Giustizia | James Ryman
Frecce della Giustizia | James Ryman

Improvvisamente, una luce abbagliante si manifestò quando i bruciatori accesero le proprie armi. Uscirono delle lingue di fuoco, che mandarono in fiamme le figure incappucciate al loro mero tocco, ondeggiando avanti e indietro. Uomini e donne danzavano come burattini impazziti, avvolti dalle fiamme, gridando mentre bruciavano. Un’ondata di giavellotti ed asce da lancio furono la risposta a quella vista, e alcuni bruciatori vennero abbattuti, uno in particolare detonò con un’esplosione spettacolare. Gli altri indietreggiarono lentamente, agitando il loro fuoco verso gli anarchici Gruul in avanzamento, per poi sgusciare sani e salvi dietro i ranghi dei lancieri Boros.

 

I Gruul avanzarono, in piena furia berserker, saltando sui loro morti carbonizzati impugnando spade ed asce. Molti erano umani con i capelli selvaggi; indossavano armature di cuoio o erano a petto nudo, la pelle era ricoperta di tatuaggi e gli occhi pieni di rabbia. Anche degli ogre incombevano tra di essi, più grossi e dalla pelle spessa, e brandivano enormi clave che Ral non era nemmeno sicuro di poter sollevare.


Eremita della Zona di Macerie | Zoltan Boros
Eremita della Zona di Macerie | Zoltan Boros

Per un attimo sembrava che potessero sfondare la linea creata dai Boros grazie solo alla loro inerzia, ma i soldati addestrati bloccarono gli scudi e puntellarono le lance. La furiosa ondata di anarchici si scontrò contro di essi come un’onda contro le rocce. Colpirono le lance estese, cercarono di schivarle, oppure si limitavano a lanciarsi in avanti sperando di avere fortuna. La prima linea divenne improvvisamente spessa a causa dei morti o dei feriti mortali, e le truppe Boros lasciarono cadere le lance per estrarre le proprie spade, ingaggiando in combattimento i sopravvissuti. Nel giro di pochi secondi si sviluppò una violenta mischia, e divenne difficile cercare di distinguere qualsiasi cosa.

 

Uno dei giganti era caduto, reso un puntaspilli da centinaia di frecce, ma un altro girovagava allegramente nella mischia, facendo ciondolare avanti e indietro la propria clava, spazzando via amici e nemici. La linea Boros si piegò a causa sua, e minacciò di spezzarsi. Ral allungò un braccio sopra la sua testa e lo lasciò cadere velocemente. L’energia ruggì dall’accumulatore sulla sua schiena e si lanciò in cielo. Un secondo più tardi, il cielo tuonò in risposta, ed una titanica scarica di fulmine scese, colpendo l’enorme creatura proprio mentre stava alzando la sua clava per sferrare un altro colpo. L’arma gli cadde dalle mani, precipitando pesantemente a terra, mentre il gigante venne contornato di bianco per un breve istante. Poi barcollò, fumante, e collassò, provocando un grido di gioia da parte dei soldati Boros.

 

“Laggiù!” disse Ferzhin. “È Domri!”

 

Qualcosa di enorme incombé dalla polvere, più alto e più grosso dei giganti. Aveva una vaga forma umanoide, dal corpo tozzo e dalle lunghe gambe, ma era costituito da ciò che si trovava nella zona di macerie: viticci, alberi, pezzi di roccia, antiche colonne e statue, tutto ammucchiato insieme e a continuo contatto, per poter provocare un ruggito continuo. Delle frecce si schiantarono contro di esso senza sortire effetto, ed esso eseguì una spazzata verso una squadra di soldati Boros, lasciandoli sparpagliati e distrutti sulla torba. Sulla spalla di quell’essere gigantesco si trovava Domri, armato delle sue due asce, che rideva allegramente alla vista del massacro che si stava compiendo.


Colosso di Macerie | Raymond Swanland
Colosso di Macerie | Raymond Swanland

“Bruciatori!” richiamò Ral. “Ammazzate quella cosa!”

 

Non aspettò di essere raggiunto dai viashino, e caricò subito di persona, con Ferzhin al suo fianco. Dei fulmini esplosero dalle sue dita, raggiungendo diversi punti dell’elementale di rovine, e facendo esplodere pietra e legno al loro passaggio. La cosa sussultò, come se avesse potuto percepire il dolore, e sbatté a terra una delle sue enormi mani per schiacciare Ral come un insetto. Lui schivò all’indietro, barcollando al tremore prodotto dall’impatto del colpo sulla terra, ed inviò un impulso di energia concentrata nella mano dell’elementale, facendola esplodere in una pioggia di rocce e schegge di legno.

 

Il fuoco divampò da una decina di direzioni, bruciando l’elementale, che indietreggiò alla ricerca dei suoi assalitori. Domri saltò giù dalla sua spalla e caricò Ferzhin, che estrasse il suo spadone e rimase salda per scontrarsi con lui. L’acciaio cantò contro l’acciaio, con il ridente giovane che pressava l’attacco, roteando e schivando gli attacchi dell’imperturbabile minotaura con angosciante facilità. Ral gli sparò un fulmine, e Domri si abbassò su un lato. Prima che Ral potesse continuare l’attacco, dovette allontanarsi nuovamente dall’elementale, che per poco non riuscì a schiacciarlo.

 

Ora però ne ho abbastanza di quel coso. Normalmente, il modo migliore per gestire un elementale sarebbe uccidere chiunque lo abbia evocato, ma nel caos della battaglia sarebbe potuto essere ovunque. E questo lascia solamente l’approccio diretto. L’entità era gravemente danneggiata, e in fiamme in diversi punti ora che i lanciafiamme continuavano a tormentarla. Ral risucchiò tutta l’energia possibile dal suo accumulatore, facendo brillare i suoi guanti dal calore, e la concentrò in una lancia di energia brillante. Quando l’elementale indietreggiò nuovamente, sferrò il colpo: un raggio di luce che perforò il nucleo di quell’essere facendo esplodere quasi tutte le rocce e l’antica architettura dalla sua schiena per il contraccolpo. L’enorme creatura grugnì, poi cominciò a disgregarsi, con la roccia e gli alberi in fiamme che colpivano il terreno man mano che si disintegrava.

 

Domri urlò trionfante, e Ral si voltò in tempo per vedere la spada di Ferzhin sfuggirle di mano. Il giovane roteò, conficcando una delle sue asce nel costato della minotaura. Ma si incastrò, ed il suo grido trionfale venne interrotto quando lei lo afferrò e gli diede una tremenda testata con il suo cranio cornuto. Il naso di Domri si ruppe con un crac che Ral riuscì a sentire dall’altra parte del campo di battaglia, e lui barcollò indietro fino a cadere nella polvere ancora smossa dei resti dell’elementale.

 

Ral alzò una mano per inviare un fulmine verso di lui, ma l’accumulatore sulla sua schiena riuscì solo a produrre un lamento vuoto. Imprecò quando vide che Domri era sparito, poi si affrettò a raggiungere Ferzhin. La minotaura era caduta in ginocchio, stringendo l’ascia che Domri aveva lasciato. La tirò fuori con un sussulto e la lanciò via, macchiando di sangue l’uniforme.

 

“Comandante!” Un luogotenente Boros la raggiunse correndo e le porse un preciso saluto militare.

 

“Chiama un curatore” gli gridò Ral. “Ha bisogno di-”

 

“Più tardi” disse Ferzhin, alzandosi con fatica. “Rapporto.”

 

“Sissignora” disse il luogotenente. “Il nemico è in ritirata. Abbiamo vinto.”

 

“Invia le pattuglie per il perimetro” disse Ferzhin. “Raccogli i nostri feriti, e accertati che quei bastardi non si siano lasciati dietro delle sorprese.”

 

“Sissignora.”

 

“E poi” disse Ferzhin, guardando Ral. “Chiamami un curatore. Se ce n’è uno libero.”

 

“Sissignora.” Il luogotenente fece il saluto e se ne andò di fretta.

 

“State bene?” disse Ral, notando il fianco sanguinante.

 

“Ho subìto di peggio” disse Ferzhin, respirando affannosamente. “È stato… più intenso di quanto pensassi.”

 

Ral annuì lentamente. “Qualcuno deve averli avvertiti del nostro arrivo.” Bolas.

 

“E ciononostante.” La minotaura fece cenno tutt’intorno a loro, all’antica piazza piena di cadaveri. “Siete riuscito ad ottenere il vostro pezzo di terra. Spero che i vostri scienziati pazzi riescano a ricavarne qualcosa per la quale ne sia valsa la pena.”

 

“Non preoccupatevi per quello” disse Ral, mentre un medico Boros dal camice bianco si stava affrettando nella loro direzione. “Da qui in poi ci pensiamo noi.”

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