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La Tempesta Incombente - Capitolo 11


A Nivix non c’era mai vero e proprio silenzio. Anche nel pieno della notte, c’era sempre qualche inventore che, non riuscendo a dormire, scribacchiava nuovi progetti su un tavolo da lavoro, o qualche chimimago che lavorava più del dovuto per rispettare una scadenza. Ma solitamente l’edificio tendeva a rallentare dopo la mezzanotte, e i corridoi si svuotavano, lasciando posto alle pattuglie di bruciatori e ai vigili automi. Anche gli scienziati pazzi avevano bisogno di riposo, dopotutto.

 

Ma non quella notte, o qualsiasi altra notte di quella settimana, dopo il disastro del vertice delle gilde. Intere file di luci trasformavano l’oscurità in abbagliante luce diurna, mentre i generatori di mizzium nelle viscere dell’edificio vibravano ed emettevano scintille. Ogni scrivania era piena, ogni laboratorio, ogni camera di prova, e l’aria era densa dell’odore di inchiostro, fumo e metallo incandescente. Quando gli operai collassavano, venivano trascinati via e portati nelle caserme improvvisate costruite nelle sale d’attesa, venivano stesi su delle coperte e venivano loro concesse poche ore di riposo prima di essere risvegliati con un bella dose di caffè e rispediti a lavorare.


Esperimento Epico | Dan Murayama Scott
Esperimento Epico | Dan Murayama Scott

E, forse per la prima volta nell’intera storia della gilda, tutti quegli sforzi miravano ad un unico scopo. Le commissioni avevano annullato tutte le riunioni. La lotta burocratica interna tra i diversi laboratori aveva raggiunto una tregua. Migliaia di litigiosi geni avevano unito i propri cervelli perché puntassero approssimativamente nella stessa direzione. Era giunto un ordine dall’alto, da molto in alto, secondo il quale ogni risorsa posseduta dagli Izzet fosse messa a disposizione di Ral Zarek, e chiunque avesse provato ad intralciarlo ne avrebbe risposto direttamente al Mentefiamma.

 

Ral non era uscito dal suo ufficio fin dal suo ritorno dal Nuovo Prahv. I pasti gli venivano consegnati alla scrivania, così come i cambi di vestiti, nuove risme di fogli di carta e i rapporti di un centinaio di altri uffici che dovevano essere confrontati e coordinati. Aveva da molto perso la cognizione del tempo, e perfino dei giorni. Lavorava finché riusciva a tenere gli occhi aperti, poi appoggiava la testa sulla scrivania e dormiva finché non veniva svegliato dalla consegna o dal disastro successivo.

 

Mentre dormiva, Ral sognava.



Ral si ricordò di essere stato spezzato in particelle talmente piccole da risultare invisibili, di aver fluttuato in un mare di strane energie e di spazio distorto, per poi ricomporsi in agonia pezzetto dopo pezzetto.

 

Riaprì gli occhi e si ritrovò a faccia in giù contro la grata di un tombino.

 

Presentava uno strano motivo in ottone, diverso dal ferro battuto di Tovrna, ed i muri attorno a lui erano fatti di mattoni marrone scuro invece che di grigia pietra. Stava piovendo sulla sua schiena, ed un flusso d’acqua scorreva fino a raggiungere il tombino. Ral notò una macchia cremisi nell’acqua, e sentì un acuto dolore al fianco.

 

È vero. Si mise la mano sulla ferita, percependo il sangue che premeva contro il suo palmo. Quel ragazzino mi ha pugnalato. Ero riuscito a tornare a casa… e Elias…

 

Un tuono rimbombò sopra la sua testa, ed il cielo si illuminò per un istante.

 

“Bè” disse una voce con uno strano accento. “Sei vestito piuttosto bene per trovarti steso in un canale di scolo.”

 

“Qualcuno ha avuto una serataccia” disse una seconda voce.

 

“Peggio per lui” la corresse la prima voce. “Meglio per noi.”

 

Ral si mise seduto, sforzandosi. C’erano due uomini appoggiati alle pareti del vicolo, che lo stavano osservando con espressione divertita e rilassata. I loro abiti erano strani, larghe camicie e pantaloni svolazzanti, ma riconobbe subito il loro comportamento. I delinquenti erano sempre delinquenti, indipendentemente da dove ci si trovava.

 

E dove mi trovo io? Era stato colpito da una qualche magia, quello era certo. Si schiarì la gola. “In che distretto siamo?”

 

“Distretto?” disse il secondo uomo. Era il più basso dei due. “Devi venire veramente da fuori.”

 

“Credo che sia un mercante” disse l’uomo più alto. “Dovrà vivere in un posto dove non prendono in giro la gente conciata in quel modo, suppongo.”

 

Ral si mise in ginocchio. I suoi capelli erano appiattiti contro il suo cranio a causa della pioggia. Cercò di tirare fuori qualche parola dai suoi denti stretti.

 

“Dove. Mi. Trovo?”

 

L’uomo più alto iniziò a camminare in avanti. “Dove ti trovi, amico mio, è sul fondo del letamaio. Ora, è stato bello chiacchierare con te, ma come avrai notato qui piove di brutto, e a me piacerebbe andare da qualche parte dove si sta al caldo, all’asciutto e con un bel po’ di drink. Quindi. Svuotaci le tasche e togliti quei bei vestitini, così ti lasceremo nelle stesse condizioni in cui ti abbiamo trovato.”

 

La sua mano raggiunse la tasca e ne estrasse un coltello. Anche il suo compagno ne estrasse uno. Le lame d’acciaio brillarono alla comparsa di un fulmine nel cielo.

 

Ral respirò profondamente.

 

“No” disse.

 

“A me sembra proprio un errore” disse il primo uomo. “Quindi ti darò un’altra possibilità per ripensare meglio-”

 

BOOM. Il lampo e il tuono furono contemporanei, ed il fulmine scese a terra come un serpente da sopra i tetti, fino a raggiungere l’acqua che scorreva nel vicolo. Ral percepì il calore che lo investì, l’energia che lo attraversava, come se avesse del fuoco nel sangue. I suoi capelli si rizzarono e, quando sorrise, delle scintille fecero contatto tra i suoi denti. Sopra di lui, la pioggia iniziò a piegarsi, curvandosi e lasciando un cerchio asciutto attorno alla sua figura.

 

Qualche attimo dopo Ral lasciò il vicolo, con due nuovi coltelli leggermente sciolti, un paio di borselli pieni di rame e due paia di stivali ancora fumanti.



C’era sempre qualcosa che esplodeva.

 

Non era comunque una novità per Nivix. Ma le esplosioni solitamente erano un po’ meno frequenti, e accompagnate da una leggera ostentazione. Quasi tutti i goblin credevano che il momento migliore per fare una prova sul campo era proprio all’inaugurazione, così che almeno ci fosse qualcuno per vedere la tua opera anche nel caso quest’ultima esplodesse.

 

Ora le esplosioni scuotevano l’intera struttura, giorno e notte. Gli idromanti spegnevano gli incendi, e gli operai scendevano nel laboratorio colpito per liberarlo dai corpi e per ricostruire il metallo esattamente com’era ancora prima che avesse finito di produrre fumo. Il pericolo era irrilevante, non che fosse mai stato così rilevante, ed il costo non veniva mai messo in discussione. L’opera continuava, man mano che le linee disegnate dalla frenetica matita di Ral prendevano forma in archi di mizzium e acciaio, e i chimimaghi sporchi di fuliggine si affrettavano ai piani superiori per comunicargli successi e fallimenti.



CERCASI APPRENDISTA

 

Ral fissò il cartello per molto tempo, e sospirò. I profitti di un paio di coltelli e un paio di stivali purtroppo erano molto limitati, ed il suo stomaco stava brontolando. L’officina del riparatore era costruita su due piani di mattoni consumati, con uno strano marchingegno di vetro e acciaio che sbucava dal tetto. Dell’elettricità si contorceva all’interno di un globo sulla cima, ma era molto debole, ed una serie di ingranaggi posizionata per tutta la lunghezza del macchinario si muoveva a scatti.

 

Un uomo anziano che indossava un paio di occhialoni con una lente gravemente crepata spalancò la porta quando Ral bussò.

 

“SÌÌÌ?” gridò, poi si sistemò la mascella e si infilò un dito nell’orecchio. “Che c’è?”

 

“Sono qui per l’apprendistato” disse Ral.

 

“Non sei un po’ troppo grande per essere un apprendista?” disse l’anziano, squadrandolo.

 

“Voglio imparare il funzionamento delle macchine” disse Ral.

 

Le macchine erano ovunque in quella strana città: ronzavano in aria e passavano per le strade. Molte erano alimentate da fulmini confinati in piccoli spazi, ed il suo potere ogni volta gli provocava una leggera fitta, vedendo le condizioni dell’energia ad esso affine. Da quando era arrivato, non faceva altro che fissarle, affascinato.

 

“Tu e mezza città” disse l’anziano. “Puoi pagarti la tassa di apprendistato?”

 

“No” ammise Ral. “Ma posso lavorare.”

 

“Posso assumere un ragazzo che mi pulisca le attrezzature e mi faccia pure il bucato per metà del prezzo. Che altro puoi fare tu, che altri non potrebbero?”

 

Ral alzò la mano e si concentrò. L’energia crepitò tra le sue dita, poi si diresse in alto, verso il grande globo. Il fulmine al suo interno divampò di luce, diventando luminoso come il sole. La catena di ingranaggi che scendeva nell’officina iniziò a girare, andando sempre più veloce, facendo uscire del fumo dai cuscinetti. Dietro all’anziano, un gemito metallico divenne uno stridio, dopodiché qualcosa si ruppe con uno schianto tremendo.

 

L’anziano si guardò alle spalle, poi si concentrò nuovamente su Ral. Sorrise.

 

“Sei assunto” disse. “Cosa vuoi imparare?”

 

“Tutto quello che ha da insegnarmi” disse Ral, passandosi una mano tra i capelli con un crepitio.



“C’è qualcunoooooooooo?” disse Hekara, con un sussurro da palcoscenico. Aprì la porta dell’ufficio di Ral.

 

Ral la guardò, con gli occhi assonnati. “Che c’è?”

 

“Ho solo pensato che potrebbe esserti utile tirarti un po’ su il morale, sai no?” Allargò le braccia. “È a questo che servono i compagni, giusto? Fico!”

 

“Non ho tempo” disse Ral. “Nessuno di noi ha tempo.”

 

“Oooh, ma c’è sempre tempo per divertirsi un po’, eh.” Hekara piroettava felicemente per la stanza. La sua mano colpì un barattolo pieno di matite sull’angolo della scrivania di Ral, che si ribaltò, rovesciandole per tutto il pavimento. “Oops.”

 

Hekara” Ral iniziò ad alzare la voce. Hekara sussultò, con un’espressione talmente mortificata che lui si fermò ed espirò. “Raccoglile. E… siediti nell’angolo e rimani molto tranquilla. Puoi farlo?”

 

“Ooh, come a nascondino! Sono pessima in quel gioco. Non come la mia compagna Brevia, che è la migliore. Giocavamo nelle cantine delle Fruste Fiammeggianti, e mi ci vollero tre settimane per trovare dove si era nascosta, sotto le assi del pavimento!” Hekara si strofinò il naso. “Ovviamente puzzava un po’ quando l’ho trovata.”

 

Ral si appoggiò alla sua sedia con un sospiro e chiuse gli occhi.



Harith era diverso da Elias in quasi ogni aspetto: era alto, con le spalle larghe invece che essere magrolino, muscolatura da operaio e mani rozze e callose, a differenza delle agili dita di un poeta. Forse, pensò Ral, era proprio quello che l’aveva attirato immediatamente, dopo tre bevute durante una brutta nottata in una taverna di bassa lega. O forse era solamente la prima persona dopo molto tempo che sembrava interessata a parlare insieme a Ral, piuttosto che sfruttarlo.

 

La stanza era quella di Harith, molto più grande del buco che Ral aveva preso in affitto con il miserabile stipendio che Ghazz, il vecchio riparatore, era disposto a pagargli. Era all’ultimo piano di un edificio di mattoni rossi, con la vista su un vicolo vicino, pieno di fili per il bucato e vestiti appesi. Harith teneva le finestre aperte per far entrare la secca brezza tiepida di quel periodo. Ciò voleva dire che chiunque nel vicolo avrebbe potuto sentire ciò che stavano facendo, ma a Ral non importava granché.

 

Harith era in piedi davanti alla finestra e guardava verso il basso, con indosso solamente una vestaglia smanicata. Ral si girò su un fianco per ammirarlo: le parti scolpite del suo corpo, la folta chioma di ricci arancioni che sembravano fatti appositamente perché lui potesse arricciarli con le sue dita. Percependo la sua presenza, Harith si guardò alle spalle e gli mostrò un sorriso asimmetrico.

 

“Pensavo avresti dormito fino a mezzogiorno” disse lui. “Sbornia?”

 

“Sorprendentemente, no” disse Ral. Mettendosi a pancia in su. I propri capelli erano lisci e scompigliati dal sudore. “Solo pigrizia.”

 

“E il vecchio Ghazz? Non sarà arrabbiato se arrivi in ritardo?”

 

Ci fu una lunga pausa. Ral fisso il soffitto per un attimo, tracciando con gli occhi la ragnatela di crepe nell’intonaco, cercando di mantenere sotto controllo il cuore che stava andando all’impazzata.

 

“Non ti avevo detto per chi stavo lavorando” disse lui, tranquillamente.

 

Harith imprecò a bassa voce. Quando distolse lo sguardo dalla finestra, il suo sorriso era largo e falso come uno zino di latta.

 

“Devo averlo sentito da qualche parte” disse lui.

 

“Ed è per quello che mi hai approcciato” disse Ral, sempre immobile. “Ti serve qualcosa.”

 

“Non è così-”

 

“Ammettilo e basta.” Ral lasciò uscire un respiro profondo e si mise seduto, passandosi la mano tra i capelli. Dell’elettricità crepitò, ripristinando il solito taglio. “Cosa speravi di poter ottenere da me?”

 

Harith lo guardò con sguardo calcolatore, il desiderio aveva abbandonato i suoi occhi. “La combinazione della cassaforte. Ghazz ha dei giocattolini che delle persone che conosco pagherebbero bene.”

 

“E io avrei dovuto consegnartela per una bottarella ed un bel sorriso.”

 

“Ral…”

 

“Trenta per cento.”

 

Harith sbatté le palpebre. “Cosa?”

 

“È la mia parte. Trenta per cento.”

 

“Dieci” sbottò Harith. “Sono io quello che si prende tutto il rischio.”

 

“Venticinque” disse Ral. “Ghazz saprà che sono stato io, e non riuscirò ad ottenere più alcun apprendistato. Inoltre, avresti dovuto essere onesto con me fin dall’inizio.”

 

Harith sembrò avesse ingoiato un mattone, ma annuì. “Venticinque.” Esitò. “Non sei preoccupato del fatto di dovertene andare da Ghazz?”

 

Ral si sforzò di produrre un sorriso attentamente pensato. “Non ha più nulla che possa insegnarmi.”



La scalinata verso il Nido sembrava particolarmente lunga quando bisognava farla nel bel mezzo della notte, in seguito ad una convocazione immediata da parte del Mentefiamma. Ral si strofinò gli occhi, sentendo sotto di essi delle grandi occhiaie a causa della mancanza di sonno, e digrignò i denti. Dietro di lui, una dozzina di goblin trasportavano dei lunghi rotoli di carta tra le braccia, cercando di tenere il passo con la sua falcata determinata.

 

Quando raggiunsero il grande portone che conduceva nello studio di Niv-Mizzet, Ral fece cenno ai suoi assistenti di fermarsi.

 

“Vi chiamerò quando ne avrò bisogno” mormorò.

 

“E… E se il Mentefiamma vi divora?” balbettò una donna goblin, con gli occhi spalancati.

 

“Allora griderò” disse Ral, “e potrete prendervi il resto della giornata.”

 

Spinse le porte per aprirle. Niv-Mizzet era accovacciato di fronte alla grande finestra, tra i detriti arcani e i macchinari del suo Nido. Davanti a lui fluttuavano diversi libri. Ognuno di essi attirò un segnalibro e si impilarono attentamente su un tavolo, mentre il lungo collo del drago curvò all’indietro per fronteggiare Ral, con le pinne agitate.

 

“Ral Zarek” disse Niv, rendendo chiara la propria voce sia nella mente di Ral che nel nefasto ruggito proveniente dalla gola del drago. “Stavo aspettando il tuo resoconto.”

 

“Le mie scuse, Capogilda” disse Ral, inchinandosi. “La situazione è stata… confusa.”

 

“Come minimo” disse Niv. “Che il giudice supremo degli Azorius venga assassinato sotto il nostro naso non è cosa da tutti i giorni.” La sua testa si avvicinò di più, come fosse un serpente che respirava calde esalazioni contro il volto di Ral. “Ma io ho bisogno di risposte, non scuse.”

 

“Certamente” disse Ral. “I nostri rappresentanti hanno visitato ogni gilda dal… dall’incidente al vertice, con discreto successo. Con la morte di Isperia, Dovin Baan ha assunto la guida degli Azorius, e sono venuto a sapere che la sua posizione come giudice supremo sta solo attendendo la conferma da parte del Senato. È sempre stato collaborativo e rimane convinto che la cooperazione sia il miglior modo per affrontare la minaccia di Bolas. Anche Aurelia della Legione Boros ha confermato il suo incrollabile impegno per continuare i negoziati. Kaya degli Orzhov e Lazav dei Dimir hanno espresso simili sentimenti.” Ral cercò di non cambiare espressione durante quell’ultima frase. Ancora non mi fido di Lazav. “Hekara ha comunicato con Rakdos in persona e mi assicura che il demone rimane con l’intenzione di assisterci.”

 

“Sei gilde” brontolò Niv, pensoso. “E le altre?”

 

Ral prese un bel respiro. “I Simic si sono ritirati nei loro zonot e hanno alzato le difese, rifiutando ogni tipo di comunicazione. Emmara dei Selesnya dice che con Trostani ancora… impossibilitata, le forze che propendono per la cautela hanno avuto la meglio. Offre neutralità, ma nulla di più.”

 

Gli enormi occhi di Niv scavarono dentro di lui. Ral sentì il sudore accumularsi sulla fronte.

 

“I Gruul sembra abbiano subìto una sorta di lotta per il potere in seguito al vertice” continuò. “Borborygmos è caduto, e ancora non sappiamo chi abbia preso il suo posto. Ma i clan sembrano agitati, e gli assalti ai confini della Zona di Macerie sono aumentati. Aurelia ha promesso di aumentare le pattuglie ed alzare le proprie difese.”

 

“E Vraska?” disse Niv, delicatamente.

 

“Nessuno ha visto Vraska dalla notte del vertice” disse Ral. “Ma i rapporti dalla città sepolta dicono che lo Sciame Golgari si sta mobilitando per andare in guerra.”

 

“Abbiamo bisogno di tutte e dieci le gilde per modificare il Patto delle Gilde” disse Niv. “Inclusi noi, quindi, siamo a sei, con due neutrali e due attivamente ostili alla nostra causa.”

 

“Sì, Capogilda” disse Ral, abbassando la testa.

 

“In altre parole” disse Niv, alzando la voce con un ringhio pericoloso, “tu hai fallito.”


Sigillo Sprezzagilde | Ryan Barger
Sigillo Sprezzagilde | Ryan Barger

C’era un asse rimovibile, proprio accanto al letto dove Ral e Harith avevano passato così tante notti che, Ral dovette ammettere, erano state piuttosto divertenti. Ral appoggiò a terra la borsa che conteneva i suoi pochi averi e fece leva sull’asse con un pugnale. Nello spazio tra l’ultimo piano e quello inferiore si trovava un sacco di tela, che tintinnò con un singolo suono quando lo tirò fuori. Era mezzo pieno degli strani gettoni d’argento a forma di bastoncino che valevano come moneta in quel luogo: i frutti dopo mesi di furti, sabotaggi e qualche violenza occasionale.

 

C’era anche il taccuino nero. Ral aveva osservato Harith sribacchiarci sopra, quando pensava che nessuno lo stesse guardando. Era riuscito a coglierne un’occhiata fugace la settimana precedente, dopo aver fatto ubriacare pesantemente il suo amante con del vino liquoroso. Nel libricino c’era la lista di contatti di Harith, i suoi potenziali bersagli, vie d’entrata e vie d’uscita. Segreti, e chi traeva danno nel rivelarli. Un tesoro prezioso per il futuro. Ral si infilò il libro sotto il braccio, travasò i soldi nella sua borsa e rimise a posto l’asse del pavimento.

 

Uscì dall’edificio il più silenziosamente possibile. Harith era fuori per un lavoro quella notte, e Ral aveva finto di essere malato. Con un po’ di fortuna-

 

“Sai” disse Harith, “non volevo crederci.”

 

Ral si fermò sul pianerottolo che conduceva alle scale. Harith stava aspettando al piano inferiore. Due scagnozzi imponenti vestiti con degli abiti di cuoio gli facevano da scorta: un grosso uomo pesantemente tatuato con un randello e un minotauro smilzo con degli enormi pugni ricoperti di cicatrici.

 

“Pensavo avessimo raggiunto un buon accordo” disse Harith. “Avevi il tuo venticinque per cento, giusto? Avevi protezione, un posto per dormire, qualcuno con cui andare a letto.” Fece un passo in avanti. “Non era abbastanza per te?”

 

“È arrivato il momento di passare oltre” disse Ral, scendendo per le scale. “E sappiamo entrambi che non me l’avresti lasciato fare. Non con ciò che avevo visto.”

 

“E perché passare oltre?” Harith lo fissò con uno sguardo a metà tra il furioso e il disperato.

 

Tiene veramente a me, realizzò Ral. Si sforzò nuovamente di sorridere, e fece spallucce. Che sciocco.

 

Harith si incupì, fece un cenno con la testa, e i due scagnozzi si fecero avanti. Ral allargò le mani, come se li avesse pregati di aspettare. Nella sua borsa, l’aggeggio che aveva passato l’ultimo mese a costruire, un ammasso improvvisato di cavi e piastre d’acciaio, si mise faticosamente in moto ed iniziò a vibrare. L’energia crepitava attraverso di lui, il tipo di energia che normalmente avrebbe ottenuto solamente nel bel mezzo di una tempesta. Fece un sorrisetto agli scagnozzi di Harith mentre chiudeva le mani perché diventassero dei pugni, e delle scintille bianche crepitarono attorno alle sue dita.

 

“Non mi è rimasto più nulla da imparare, qui” disse lui.


Ral, Prodigio di Leyline | Borja Pindado
Ral, Prodigio di Leyline | Borja Pindado


“Non ancora” disse Ral.

 

Non era un esperto di espressioni draconiche (e chi poteva esserlo?), ma era abbastanza sicuro che Niv-Mizzet fosse rimasto sorpreso. La lunga lingua del drago uscì fuori per un attimo, e le sue labbra si ritrassero per mostrare i suoi denti grandi quanto spade.

 

“Spiegati” ringhiò Niv.

 

“Portatelo dentro” gridò Ral verso il portone.

 

I suoi assistenti goblin trottarono dentro, quasi paralizzati dal terrore per la vista del drago. Sotto l’impassibile sguardo di Niv, appoggiarono la carta arrotolata ai piedi di Ral, e lui fece cenno di distenderla sul pavimento. Dopo qualche attimo di confusione e discussione (i goblin rimanevano tali, anche sotto lo scrutinio del Mentefiamma), unirono i fogli nell’ordine corretto.

 

Quello che prese forma fu un’enorme mappa del Decimo Distretto, abbastanza dettagliata da mostrare ogni vicolo. In cima al progetto delle strade era disegnata una complessa rete di linee colorate, spesse ed interconnesse in alcune zone, e più sparse in altre. La forma di base era abbastanza familiare, ovviamente: il Labirinto Implicito, la gara che in qualche modo Beleren era riuscito a vincere per poter diventare il Patto delle Gilde Vivente, solo per poi abbandonare quella responsabilità proprio quando Ravnica aveva bisogno di lui. Quella mappa, però, era molto più dettagliata, e costruirla aveva consumato quasi tutte le attenzioni di Ral nell’ultima settimana.

 

“La rete di energia” disse Niv. Non sembrava colpito.

 

“Esattamente” disse Ral. “Che è, come abbiamo imparato, la struttura di base del Patto delle Gilde stesso. Si estende per tutta la città, tutt’intorno a noi, nodi e linee collegati per creare il potere che ci lega tutti quanti.”

 

“Conosco molto bene quello che mi stai dicendo” disse Niv. “Ho osservato Azor in persona gettarne le fondamenta.”

 

Ral annuì. “Azor stipulò che tutte e dieci le gilde debbano essere in accordo per modificare il Patto delle Gilde” disse lui. “Ma quella regola fa parte del Patto delle Gilde stesso, e ciò significa che è incorporata in queste linee di potere, proprio come tutto il resto. Se non possiamo incontrare le condizioni del Patto delle Gilde, allora dobbiamo semplicemente aggirarle.”

 

Aggirarle?” disse Niv. “E pensi che tu riuscirai ad alterare l’opera di Azor?”

 

“Solo superficialmente” disse Ral. Si passò una mano tra i capelli, generando scintille, e cammino per la vasta mappa. “Possiamo costruire delle linee di energia artificiali per alterarne il progetto. Quasi tutta la tecnologia si trova già in loco: condensatori di energia, una camera di risonanza e delle batterie a bobina di mizzium. Deve durare solo un momento. Una macchina che ricoprirà il Decimo Distretto. La più grande creazione che gli Izzet abbiano mai tentato di costruire.”

 

“E questa… cosa” disse Niv. Sembrava scettico. “ti permetterà di alterare il Patto delle Gilde, innescare la mia ascensione, senza bisogno dell’accordo di tutte le gilde?”

 

“Sì” disse Ral, con molta più sicurezza di quanta non ne provasse. “Ci sono solo alcune irrilevanti difficoltà da risolvere.”

 

“Ad esempio?” ringhiò il drago.

 

Ral abbassò lo sguardo sulla mappa. “Esiste un numero limitato di efficaci configurazioni dei nodi” disse. “Le stazioni di risonanza devono essere posizionate in modo molto preciso per il distretto. Trovare una combinazione che evitasse il territorio dei Simic, dei Selesnya, dei Gruul e dei Golgari è stato… inattuabile.”

 

“Mmm” disse Niv, andando avanti con la testa. “Questi segni rossi sono il tuo piano attuale?”

 

“Sì” disse Ral. “I Simic e i Selesnya potrebbero accettare diplomaticamente, ma non possiamo contarci troppo. Non con il tempo che abbiamo. Questa disposizione richiede solo dei nodi in territorio Gruul e Golgari, qui e qui.” Indicò i due nodi.

 

“I Gruul e i Golgari non ci inviteranno ad usare quei nodi” disse Niv.

 

“No, certo che no” disse Ral, e si raddrizzò. “Quindi dovremo conquistarli con la forza.”



Una sala conferenze di Nivix, più comunemente usata da una decina di chimimaghi per cospirare qualche burla letale, era stata velocemente preparata per poter ospitare un concilio di guerra.

 

Ral sedeva sul lato di un lungo tavolo di pietra, segnato e scolorito da decenni di esperimenti. Alla sua destra, l’angelo Aurelia era in piedi con le braccia conserte, osservando gli altri presenti con i suoi occhi luminosi senza pupille. La sua seconda in comando, la donna minotauro Comandante Ferzhin, era seduta sopra una sedia ingombrante e la sua espressione era di evidente sospetto.

 

Di fronte al contingente Boros si trovavano i rappresentanti Azorius. Il Planeswalker vedalken Dovin Baan, che ora era il leader della gilda, ricambiava lo sguardo di Aurelia con la stessa imperturbabilità. Al suo fianco si trovava una giovane donna in armatura argentea che si era presentata come Capitana Ussara Vell, che sedeva con la schiena talmente dritta che quella di Ral percepiva il dolore per lei.

 

Infine, dall’altro lato del tavolo, Kaya si sporgeva dalla sua sedia con un grande sorriso sulle labbra. Un sacerdote cicciotto vestito con abiti neri sedeva al fianco di lei, lanciando sguardi agli altri come se avesse voluto rimproverarli tutti quanti, ma lei non sembrava incline a prestargli attenzione alcuna.

 

Ral lanciò uno sguardo alla porta un’ultima volta, sospirò, e mise le mani sul tavolo. “Possiamo anche iniziare.”

 

“La nostra compagnia non è al completo” disse Aurelia. “Pensavo che si unissero anche gli altri nostri alleati.”

 

“Non è una grossa perdita” mormorò Ferzhin.

 

“Lazav ha già fatto sapere che i suoi agenti saranno disponibili per aiutarci a raccogliere informazioni, ma il combattimento diretto non è la loro specialità” disse Ral. “Per quanto riguarda i Rakdos…” Ma dov’è Hekara? Di solito era impossibile tenerla a bada. “Non penso faranno sentire la loro mancanza durante la sessione di pianificazione. Suppongo che li vedremo quando inizieranno i combattimenti.”

 

“E siete certo che non ci sia altro modo?” disse Dovin.

 

“Non nel tempo che ci è rimasto” disse Ral. “Il Mentefiamma ha ordinato che tutte le risorse Izzet siano dedicate a questo progetto. Riusciremo a costruire ed installare i risonatori. Per i nodi che già controlliamo, si tratta soltanto di installarli e collegarli al nodo centrale qui al Nivix. Ma ne dobbiamo avere altri due.” Aprì una mappa del Decimo Distretto, con delle note a matita. “Qui, e qui. E non penso che riusciremo ad ottenerli pacificamente.”

 

“Di sicuro non questo” disse Ferzhin, toccando la mappa con un dito. “Quella parte della Zona di Macerie è passata di mano decine di volte negli ultimi due anni.”

 

“E l’altro si trova nella Città Sepolta” disse Dovin, tranquillamente. “E ciò significa che Vraska si troverà in una posizione eccellente per cercare di fermarci.”

 

Ral annuì. “Fortunatamente, uniti, dovremmo avere la forza necessaria per conquistare entrambi i nodi. E con un po’ di fortuna i nostri nemici non capiranno nemmeno la loro importanza.” Guardò tutti quelli seduti attorno al tavolo. “Faccio senza dire che la natura del nostro obiettivo non dovrà lasciare questa stanza.”

 

“I Gruul combatteranno, poiché è la loro natura” disse Aurelia. “Tuttavia, se li sconfiggiamo al nostro primo incontro, è difficile che organizzeranno un contrattacco. Cercheranno semplicemente dei bersagli più alla loro portata.”

 

“Ci sono diversi presidi ad una distanza conveniente da questo nodo” disse Ferzhin. “E noi conduciamo regolarmente operazioni contro i Gruul. Dovremmo riuscire ad impiegare una forza ragionevole senza destare alcun sospetto.”

 

“Bene” disse Ral. “Vorrei suggerire che siano i Boros a fornire la maggioranza delle nostre forze in superficie, allora, e gli Izzet, insieme agli Azorius, forniranno alcune unità d’elite perché siano di assistenza. Io mi unirò a voi di persona, ovviamente.”

 

“Dovrebbe bastare per far scappare quei selvaggi” disse Ferzhin, sorridendo all’idea.

 

“Non sottovalutiamo i Gruul” disse Aurelia. “Sono più astuti di quanto possa sembrare.”

 

“Non lo faremo” promise Ral. “Per quanto riguarda l’operazione nella Città Sepolta, ecco dove entrerai in azione tu.” Guardò dall’altra parte del tavolo, verso Kaya. “Speravo di poter contare sugli Orzhov per un po’ di supporto nel sottosuolo.”

 

“Mmm?” Kaya sbatté le palpebre, sembrando distratta. “Ma certo. Tutto quello che ti serve.”

 

“Capogilda” disse il sacerdote, “forse un impegno più limitato-”

 

Tutto quello che ti serve” disse Kaya, con vigore. “E ci sarò anch’io.”

 

“Capogilda, vi prego” disse il sacerdote. “La vostra sicurezza è di primaria importanza.”

 

“Ho un debito con Ral per l’aiuto che ci ha dato” disse Kaya. “Ed io pago sempre i miei debiti.”

 

“Bene” disse Ral. “Chiederò anche a Hekara dei Rakdos di darci una mano. E Vraska è probabile che tenti qualche mossa astuta dopo che avremo conquistato il nodo, quindi dovremmo fortificare la nostra posizione.”

 

“I nostri possono gestire la cosa” disse Dovin. “Con l’aiuto dei nostri amici Boros, ovviamente.” La minotaura si stizzì, ma Aurelia si limitò ad annuire.

 

“Bene.” Ral prese un bel respiro. “Capisco che ciò che è accaduto a Isperia sia stato uno… shock. Ma abbiamo sempre saputo che Bolas aveva degli alleati qui, ed ora si sono rivelati. Non ci rimane da far altro che schiacciarli.” Guardò tutti i presenti al tavolo. “Vi ringrazio per la vostra dedizione a Ravnica.”

 

“Ma certo” disse Dovin, dopo un attimo di silenzio. “E quale altra strada potremmo percorrere, dopotutto?”



È fatta. Nivix era ancora un vespaio di attività, ma nessuna di esse richiedeva l’intervento di Ral. La grande macchina era in costruzione in dozzine di laboratori ed officine, i pezzi venivano forgiati e saldati così che potessero creare forze tali da unire il Decimo Distretto in una singola e immensa rete di magia, quando sarebbero stati finalmente assemblati. L’opera di Azor in persona, deviata e modificata dal genio combinato di centinaia delle menti migliori degli Izzet. Ral percepì un focoso orgoglio per la sua gilda, per la sua casa adottiva. Ce la faremo.

 

Il pensiero del suo letto divenne improvvisamente molto allettante. Ral si alzò dalla scrivania con un grugnito, ed il suo corpo dolorante si lamentò, si stirò e barcollò verso la porta. Le pianificazioni per l’attacco al territorio Gruul erano già a buon punto, con Aurelia che si stava dedicando ai dettagli tecnici. Ral sarebbe stato il primo ad ammettere di non essere un esperto militare, quindi era felice di lasciare quelle questioni all’angelo e ai suoi subordinati. Quindi non fa male a nessuno se io vado un po’ a dormire.

 

Nel corridoio fuori dal suo ufficio, però, una magra figura era seduta a gambe incrociate contro il muro. Ral abbassò lo sguardo su di lei e sospirò.

 

“Hekara.” Lei non si mosse, e lui la smosse con il suo stivale. “Hekara.”

 

“Ah, io non ho fatto niente!” disse Hekara, di colpo sveglia.

 

“Nessuno ha mai detto che tu abbia fatto qualcosa” disse Ral.

 

“Scusa.” Sbadigliò e si strofinò gli occhi. “Stavo aspettando che finissi.”

 

Ral le porse una mano, lei la afferrò e si tirò su. La sua figura sembrava non pesare nulla. Lei gli offrì un sorriso, come sempre, ma c’era qualcosa che non andava.

 

“Ti sei persa l’incontro strategico” disse Ral.

 

“Sarei solo morta dalla noia” disse Hekara. “Sua Schiacciosità dice che basta comunicarci quando hai bisogno di noi. Contro i Gruul, o…”

 

Non finì la frase, poi rimase in silenzio.

 

“Hekara” disse Ral. “Cosa c’è che non va?”

 

“Io…” iniziò a dire, poi scosse la testa. “Non c’è un modo per risolvere le cose con Vraska?”

 

“Vraska sta lavorando per Bolas” disse Ral. “Ci ha traditi tutti quanti al vertice delle gilde. Ha ucciso il giudice supremo degli Azorius.”

 

“Lo so” disse Hekara, tristemente. “So tutto. Ma è nostra compagna, Ral. Abbiamo combattuto insieme a lei. Non si va mai contro i compagni, mai mai. È... così che vanno le cose.”

 

“Capisco.” Ral le mise una mano sulla spalla ed abbassò la voce. “Io… pensavo di potermi fidare di lei.”

 

Una cosa rara. Il vecchio Ral, il Ral dei suoi sogni, aveva deciso di non fidarsi più di nessuno. Con l’aiuto di Tomik e pochi altri, perfino di Hekara per quanto potesse sembrare strano, aveva pensato che quella cosa stesse iniziando a cambiare. Ma ora…

 

“Non ci ha dato nessuna scelta” disse Ral. “Bolas sta arrivando, e se vogliamo fermarlo, abbiamo bisogno di quei nodi. Se Vraska cercherà di fermarci, questo la renderà nemica di tutta Ravnica.”

 

“Sì. Ma…” Hekara scosse la testa. “Non importa.”

 

Si voltò, abbattuta, e se ne andò. Ral la osservò per un momento, poi sospirò di nuovo, e si diresse verso le scale.


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