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La Tempesta Incombente - Capitolo 10


La pioggia scendeva come avesse avuto qualcosa contro la città, facendo tremare le tegole e schiantandosi contro le finestre. Perfino con la sua magia a dividere il torrente che scorreva sopra la sua testa, Ral camminava in mezzo ad un foschia di gocce impazzite, ed il suo cappotto si bagnò comunque nel tragitto verso il Nuovo Prahv.

 

La sala di gilda Azorius pullulava di soldati. Isperia non si era risparmiata per garantire la sicurezza durante il vertice, e per tenere a bada le folle di cittadini curiosi che si erano radunati lì in barba al terribile tempo atmosferico. Che stesse accadendo qualcosa di importante ormai non era più un segreto, e la piazza attorno alla grande tripla torre era stracolma di persone. I soldati Azorius dalla bianca armatura faticavano a mantenere libera una stretta striscia di terra che i delegati potessero percorrere per raggiungere il luogo dell’incontro.

 

Ral mantenne gli occhi aperti mentre passava vicino alla calca. Non sembravano furiosi, ma interessati. Almeno fino a quel momento. E udì una serie di grida di eccitazione quando la delegazione Simic arrivò a bordo di una carrozza vivente che si spostava autonomamente grazie a dei grossi tentacoli viola. Ral sgusciò dietro di essa, facendosi notare dai soldati al cancello, ma non dalla folla presente.

 

Una nervosa giovane donna lo guidò in una delle torri, dove salirono una scalinata di lucido marmo. Infine, lo condusse ad un immenso portone, intarsiato con una filigrana di oro e argento che raffigurava lo stemma Azorius. Era talmente pesante che due forzuti servitori furono preposti appositamente per aprirlo. All’interno si trovava una delle camere per i dibattiti del Senato: una stanza circolare con un rialzo di marmo che percorreva tutto il perimetro. Al lato opposto della stanza si trovava un palco per chi avrebbe preso la parola durante la discussione, e si trovava di fronte ad un’enorme finestra multi-sezione, colpita dalla pioggia. In lontananza, dei fulmini divamparono tra le nuvole, e Ral percepì il proprio potere risuonare in accordo ad ogni scarica.

 

Non fu il primo ad arrivare. Isperia occupava il palco, con Dovin Baan al suo fianco, entrambi assorti nella lettura di qualcosa. Hekara, che se n’era andata quella mattina per ricevere le ultime istruzioni dai suoi superiori, era seduta sulla panchina di marmo, e stava agitando freneticamente la mano per salutare Ral.

 

La cosa più sorprendente era il ciclope seduto a gambe incrociate e con la testa chinata dietro la panchina, a qualche centimetro dal soffitto. Quello doveva essere Borborygmos, il capogilda Gruul. Aveva un aspetto ferale, con una selvaggia chioma di capelli rossi e due corna ritorte, vestito solamente di qualche brandello di armatura di cuoio. Nella lucida serenità della sala di gilda degli Azorius, il gigante sembrava assolutamente fuori posto.


Borborygmos | Todd Lockwood
Borborygmos | Todd Lockwood

Eppure è qui. Niv-Mizzet aveva promesso che si sarebbe presentato, ma Ral dovette ammettere che per una volta aveva dubitato della parola del Mentefiamma. Mi chiedo quali favori abbia tirato in ballo perché potesse accadere una cosa del genere.

 

Borborygmos non prestò attenzione a Ral, ma alzò lo sguardo con un grugnito quando il portone si aprì nuovamente, facendo entrare la forma angelica di Aurelia. Era seguita da diversi alti ufficiali Boros, inclusa la donna minotauro che Ral aveva visto l’ultima volta. La vista delle loro uniformi sembrò irritare il ciclope, che iniziò a produrre un basso ringhio inframmezzato da alcuni versi molto arrabbiati.

 

“Eh-ehm.” Chi parlava era un piccolo umanoide dalla pelle verde che si trovava vicino ai piedi di Borborygmos. La creatura dal volto di rana indossava un vestito scuro di buona fattura e parlava con accento erudito. “Il Capogilda Borborygmos desidererebbe sapere per quanto ancora dovrà aspettare insieme ai cani da riporto della giustizia.”

 

L’unico occhio del ciclope era fisso su Aurelia. Quasi tutte le gilde erano rivali tra loro in un certo modo, ma l’ostilità tra gli anarchici Clan dei Gruul e la Legione Boros era leggendaria. L’angelo lanciò un’occhiata al ciclope, poi prese educatamente posto, ma la sua compagna minotaura rispose, ringhiando: “Dovresti essere grato anche solo di essere seduto a questo tavolo.”

 

Borborygmos esplose in una risata. Il suo traduttore disse: “Il capogilda desidera che voi capiate che si trova qui solo per ottemperare ad alcuni impegni presi con il Mentefiamma molto tempo fa. Non offre alcun tipo di rispetto a delle creature inferiori.”

 

“Creature inferiori” disse la minotaura. “Lui-”

 

“Vi prego” disse Isperia, con innata autorità. “Non sciogliamo questo incontro prima ancora che inizi. Le altre delegazioni stanno arrivando proprio in questo momento.”

 

“Io, per esempio, sono impaziente di sentire cos’ha da dire Niv-Mizzet.” Questa era una nuova voce, resa metallica ed anonima da uno strano ronzio, come se la sua fonte fosse oltre uno spesso muro. Ral cercò la sua fonte per la stanza finché non vide una figura sfocata e in movimento, la cui forma umanoide era coperta da un velo di illusione, in modo da mostrare una combinazione in continuo mutamento di vestiti e volti. Ral non aveva idea di quando fosse arrivato.

 

“Lazav” disse Aurelia, con disgusto. “Rifiuti di uscire allo scoperto, perfino qui?”

 

“Soprattutto qui, mi verrebbe da dire.” Lazav si rilassò con la schiena sulla panchina, appoggiando i suoi piedi sfocati sul corrimano di fronte.

 

“Il Senato dà il benvenuto al capogilda Dimir” disse Isperia. Poi, mentre il portone si stava aprendo nuovamente, aggiunse: “E anche alle delegazioni dei Simic e dei Selesnya.”

 

I Selesnya erano rappresentati da Emmara, in compagnia di altri elfi che Ral non conosceva. Un gruppo di quattro maghi Simic dalle tuniche viola si trovava appena dietro di loro. Il loro leader era un uomo più anziano con la pelle dura e ruvida, che aveva due occhi sporgenti simili a quelli di un pesce. I suoi compagni erano un simile miscuglio tra umanoide e ittioide. Biomanti, pensò Ral, con un leggero disgusto, mentre si inchinavano a Isperia e prendevano posto. Non era mai stato a suo agio con le strane idee dei Simic riguardo al miglioramento genetico.

 

Gli Orzhov furono i successivi ad arrivare. Kaya e Teysa entrarono insieme, seguite da diversi sacerdoti vestiti di nero e oro. A un certo punto mi farò raccontare tutta la storia da loro due. E per ultima arrivò la nuova regina dei Golgari, da sola. Vraska indossava uno spettacolare vestito di armatura a scaglie lucente degli iridescenti colori dei coleotteri, e i tentacoli sulla sua testa erano tranquilli e quiescenti. Solamente quando vide Isperia si innervosirono, alzandosi appena prima di riottenere controllo e inchinarsi leggermente.


Vertice delle Gilde | Sidharth Chaturvedi
Vertice delle Gilde | Sidharth Chaturvedi

“Rappresentanti e capigilda” disse Isperia, alzandosi sulle zampe. La voce della sfinge si alzò senza alcuno sforzo finché non rimbombò nella stanza. “Vi ringrazio per essere venuti. Stiamo per affrontare una minaccia senza precedenti per Ravnica, e sono rincuorata nel vedere qui davanti a me la prova che le gilde possono riunirsi insieme per gestire una crisi.”

 

“In realtà non ne abbiamo viste molte, di prove” sbottò uno dei Simic con la sua voce nasale. “Zarek ha sbandierato alcune folli teorie su diversi mondi e minacce interplanari. Come possiamo sapere che tutto questo sia reale?”

 

“Io gli credo” disse Lazav. “Null’altro si allinea a ciò che sappiamo, per quanto poco possa essere.”

 

La minotaura Boros sbuffò. “Sì, certo. Fidiamoci della parola di una spia che sta smantellando la propria gilda.”

 

“La mia gilda ha bisogno di una… purificazione” disse Lazav. “E vi dirò anche che non sono io quello di cui non dovreste fidarvi, all’interno di questa stanza.” Si voltò per rivolgersi nuovamente a Ral, e anche attraverso il suo velo di illusione Ral percepiva il suo sguardo.

 

Lentamente, Ral si passò una mano tra i capelli, ripristinando il suo solito taglio con un leggero crepitio. Si alzò in piedi, mostrando le mani per richiedere silenzio.

 

“Onorevoli rappresentanti” disse, guardandosi attorno. “Sono conscio che il solo fatto di trovarci qui, tutti insieme, non ha quasi precedenti. Ma se dovremo difendere Ravnica, dobbiamo andare ben oltre questo. Nicol Bolas è reale, e sta arrivando. Nessuno di noi può fermarlo.”

 

“O così voi dite” disse la minotaura. “Voi sottovalutate la Legione.”

 

Borborygmos grugnì, ed il suo traduttore disse: “Daremo il benvenuto a questo Bolas, se vorrà mettere alla prova la sua potenza contro i Gruul.”

 

“Non siate sciocchi” sbottò Vraska. “Nessuno di voi conosce Bolas come lo conosciamo io e Ral. Lui non ha mezze misure. Se sta arrivando su Ravnica, è proprio perché è sicuro che non possiamo fermarlo.”

 

“La sua reputazione lo precede” disse Kaya. Tutti la guardarono, e sembrò quasi imbarazzarsi per aver parlato. “Ascoltate. Io non sono di queste parti, e penso che lo sappiate. Ma ho avuto a che fare con un sacco di gente che si è messa sulla strada di Bolas, e tutti se ne sono pentiti. Prendete per buone queste parole, per quel che valgono.”

 

“I suoi agenti hanno causato un gran numero di danni” disse Emmara. “Il tentato golpe nei Selesnya fu opera sua, e quasi ci riuscì.”

 

“Che fosse opera sua non è del tutto chiaro” disse uno degli elfi seduti vicino a lei. “Non dovremo saltare alle conclusioni.”

 

“Esattamente” disse il leader dei Simic. “Chi è che beneficierà di più da questa cooperazione? Gli Azorius, ovviamente, con tutte le loro leggi ed obblighi. Siamo seduti proprio nella loro sala di gilda! Non è che sono stati loro a creare ad arte questa falsa crisi per trarne vantaggio?”

 

“Io non nutro simpatia per il Senato” disse seccata Vraska, “ma questa è una pura e semplice idiozia.”

 

“Mi scuso se certe sottigliezze sono di difficile comprensione per una mente sub-senziente come la vostra” disse il rappresentante dagli occhi di pesce, in segno di scherno.

 

“Dovreste ascoltare tutti Ral” gridò Hekara, inaspettatamente. Quando, ancora una volta, tutti si fermarono per guardarla, lei arrossì leggermente. “È che di solito ha sempre ragione, ecco” disse. “Ed è il mio compagno. Quindi dovreste prestare attenzione.”

 

Il rappresentante dei Simic alzò gli occhi al cielo. “Se abbiamo finito di ascoltare una-”

 

Un’enorme ombra oscurò la sala.



Le grandi finestre di vetro si aprirono delicatamente, muovendosi quasi per volontà propria, influenzate da una forza magica inarrestabile. Lo scroscio della pioggia aumentò di intensità, accompagnato dal crepitio di qualche tuono in lontananza. Alcune gocce bagnarono il lucido marmo, ma quasi tutte venivano bloccate dall’enorme figura a scaglie che si trovava davanti all’apertura, i cui artigli si tenevano sulla parte esterna dell’edificio e le cui ali erano spalancate per mantenere l’equilibrio.

 

Niv-Mizzet era arrivato.

 

Solo la sua testa riusciva ad entrare nella sala, come se fosse un enorme serpente. Le sue sgargianti pinne erano totalmente allargate. Isperia indietreggiò leggermente, facendo posto al drago nel centro del palco. Quando il Mentefiamma parlò, la sua voce riecheggiò all’interno del cranio di ogni presente.


Lungimiranza del Mentefiamma | Dan Murayama Scott
Lungimiranza del Mentefiamma | Dan Murayama Scott

“Vraska ha ragione” disse Niv-Mizzet. “Voi non comprendete ciò che sta per arrivare. Ma io sì.” La sua gigantesca testa si spostò per fissare ciascun rappresentante, uno per uno. “Io sono il parun della mia gilda. Ho vissuto su Ravnica per più di quindicimila anni, e ho sconfitto più sfidanti di quanti possiate immaginare. Posseggo una conoscenza superiore a quella di qualsiasi altro essere vivente, conosco incantesimi che si sarebbero altrimenti persi nel tempo, e armi che nessuno potrebbe più costruire. Ed io vi sto dicendo che Nicol Bolas è più potente di me.”

 

Ci fu un lungo silenzio.

 

“Se il suo potere è così inarrivabile” disse alla fine Aurelia, “allora perché riunirci qui?”

 

“Non è inarrivabile. Sto lavorando ad un modo per fermarlo.” Le pinne del Mentefiamma si abbassarono. “Si tratta di un rituale molto pericoloso e pervasivo, ma penso potrà fornirmi il potere di cui ho bisogno.”

 

“Ma questo violerebbe il Patto delle Gilde” disse Lazav, come se avesse appena capito qualcosa che si stava chiedendo da molto tempo. “Quindi vuoi usare il piano di riserva.”

 

Gli elfi in compagnia di Emmara si guardarono l’un l’altro, confusi. Emmara si schiarì la gola. “Quale piano di riserva?”

 

“Suppongo che Trostani se lo sia tenuta per sé” disse Lazav.

 

“Quando Azor, nella sua saggezza, creò il Patto delle Gilde” disse Isperia, “escogitò un modo tramite il quale potesse essere modificato. Richiede solamente un accordo tra tutte e dieci le gilde.”

 

“Non sarebbe dovuto essere necessario” disse Niv-Mizzet, “dato che il Patto delle Gilde Vivente può ricalcare la stessa funzione. Ma Jace Beleren è ancora disperso, e potrebbe non tornare. Non possiamo più permetterci di aspettare.”

 

“In altre parole” disse il rappresentante dei Simic, “volete che vi garantiamo il permesso di poter diventare, a tutti gli effetti, onnipotente?” Sbuffò. “Come potrebbe non aprire le porte ad un’egemonia Izzet?”

 

“Ho guidato gli Izzet per diecimila anni” disse il Mentefiamma. “Ma proprio per questo uscirò dalla gilda, e Ral Zarek prenderà il mio posto. Sarò comunque legato ai nuovi limiti del Patto delle Gilde, anche con i miei nuovi poteri. Diventerò il guardiano di tutta Ravnica, al di sopra delle politiche delle gilde.”

 

“Ma è veramente possibile farlo?” disse Kaya.

 

Ral prese la parola. “Niv-Mizzet ha una comprensione del Patto delle Gilde più approfondita di qualunque essere vivente.” Pensò di aver visto Vraska alzare gli occhi al cielo, ma lei non disse comunque nulla.

 

“Veramente comodo” disse il rappresentante dei Simic. “Quindi dovremmo semplicemente fidarci della sua parola.”

 

“Il Mentefiamma potrà anche essere l’esperto” disse Isperia, “ma ogni gilda ha i propri maghi della legge. Suggerirei di fare una pausa, così da permettere ai rappresentanti di consultarli e poter avere una migliore comprensione della richiesta di Niv-Mizzet. Questa assemblea si riunirà domani mattina, e allora faremo la nostra decisione.”



Seguendo il corretto protocollo diplomatico, gli assistenti Azorius avevano previsto che dopo l’incontro si sarebbe dovuto tenere il ricevimento più delicato di Ravnica. Vraska buttò uno sguardo nella stanza, piena di occhi sospettosi e panini al cetriolo, e se ne andò. A tutti erano stati assegnati degli appositi alloggi all’interno della torre, e lei aveva intenzione di trovare i propri.

 

La torre. Essere lì, al centro del potere Azorius, era più pesante di quanto pensasse. Tutte quelle persone, scribi, bibliotecari, legislatori, andavano avanti con la loro routine quotidiana, a scribacchiare parole sopra una pagina. Non hanno la minima idea di quanto costino le loro azioni. Di cosa significasse la loro decisione per le altre persone nel resto della città. Il segno di una penna manda qualcuno in prigione. Una spunta diventa una sentenza di morte. Aveva voglia di urlare.

 

“Vraska.”

 

Si voltò, riluttante, e vide che Ral si stava avvicinando dietro di lei. Vraska si mise le mani sui fianchi, e i suoi tentacoli si mossero infastiditi.

 

“Che cosa vuoi, Zarek?”

 

“Io…” Si fermò subito, vedendo l’espressione di lei. “Va tutto bene?”

 

“Non c’è male” tirò corto Vraska. Si raddrizzò, sforzandosi di non mostrare sul proprio volto il turbamento che provava. “Cosa c’è?”

 

“Volevo soltanto ringraziarti per il tuo aiuto. Non penso di averne avuto occasione, dopo gli eventi alla cattedrale.”

 

Vraska gesticolò con una mano. “La tua amica stava morendo dissanguata. È una distrazione comprensibile.”

 

Ral si fermò, come se avesse appena capito qualcosa, poi continuò. “E so che venire qui non è affatto facile per te.”

 

Oh, non ne hai idea. Vraska represse un ringhio, e annuì seccamente. “Spero solo che ne valga la pena.”

 

“Troveranno un accordo” disse Ral. “Li abbiamo fatti arrivare fino a questo punto.”

 

Abbiamo. Vraska comprese che lui si fidava di lei. Avrebbe voluto ridere, più probabilmente piangere. Invece fece per voltarsi, poi esitò.

 

“Posso chiederti una cosa?”

 

“Certamente” disse Ral.

 

“Ciò che ha detto Niv-Mizzet, riguardo a Jace. Che potrebbe essere morto. Lui sa- Pensi che lui sappia qualcosa che noi non conosciamo?”

 

Ral corrugò la fronte. “Quando si parla di lui, è difficile a dirsi. Non si confida con me più del necessario.”

 

Tu credi che tornerà?”

 

“Beleren? Probabile.” Ral fece spallucce. “È troppo fastidioso per andarsene per sempre.”

 

“Su quello sono d’accordo” disse Vraska, sforzandosi di sorridere. “Dovrei andare. Devo fare alcune cose.”

 

“Certo.” Ral si inchinò. “A domani, allora.”

 

Domani.

 

Lei trovò i propri alloggi, un appartamento spoglio ma confortevole, e scacciò gli assistenti in uniforme che cercavano di farla sentire a proprio agio. Tutto in quel luogo era così sterile, rinchiuso all’interno di una gigantesca colonna di pietra e acciaio. Nel suo dominio, lei dormiva in un letto di muschio vivente, circondata dagli aromi sottilmente dolci della decomposizione. E prima di ciò, si era abituata alla Belligerante, al suo perenne ondeggiare e all’odore salato del mare. Stendersi sul letto in quel luogo sembrava di dormire dentro una tomba.

 

Non che dormire fosse una possibilità concreta. Percepiva la propria mente agitarsi come un animaletto intrappolato e in cerca di una via d’uscita. Dannato Ral e dannata la sua fiducia. Dannato Jace, per non essere qui quando ho bisogno di lui. Dannazione, dannazione, dannazione…

 

Lentamente, forse troppo lentamente, il sole tramontò. Vraska era stesa in quella fresca oscurità, senza fissarsi su nulla, cercando di non pensare.

 

Ci fu movimento davanti alla porta della sua stanza. Uscì subito dal letto, con il cuore che avrebbe potuto sfondarle il petto, e i suoi tentacoli agitati e selvaggi. Per qualche secondo, ci fu solo silenzio.

 

Si vedeva qualcosa vicino alla porta. Un pezzo di carta piegato, infilato al di sotto. Vraska attraversò la stanza e lo raccolse. Scritto in un raffinato corsivo, il biglietto diceva soltanto:

 

La sala della conferenza. Ora. Nessuna guardia.

 

Ci fu un lungo silenzio. Lentamente, Vraska strinse la carta fino ad appallottolarla.



La porta della sala della conferenza era semi-aperta. Vraska sgusciò all’interno, con i suoi stivali che schioccavano leggermente sul marmo. Le grandi finestre erano chiuse, e la pioggia tamburellava contro di esse con un ritmo regolare. Oltre il vetro, la città era quasi completamente buia. Il diluvio aveva fatto allontanare tutti dalle strade, tranne i più temerari. Bruciavano solo poche luci, accompagnate da lontani lampi nel cielo. Come aveva promesso la nota, non c’era alcuna guardia all’entrata.

 

Isperia era seduta nello stesso posto della conferenza, appoggiata sulle sue zampe leonine. Stava leggendo qualcosa, prendendo appunti con le sue grosse zampe. Adoperava carta e penna con una delicatezza sorprendente. Fece un cenno con la testa quando entrò Vraska, così da farle capire che era conscia della presenza della gorgone, ma non alzò lo sguardo finché Vraska non si schiarì la gola.

 

“Capogilda” disse Isperia. “Pensavo foste a letto a quest’ora.”

 

“Non riesco a prendere sonno” disse Vraska, attraversando la stanza. Era calma, e i suoi tentacoli placidi e tranquilli. “E voi?”

 

“Non necessito di molte ore di sonno” disse Isperia. “E i miei doveri non terminano mai. Anche durante questo grande evento, il lavoro del Senato continua.”

 

“Già” disse Vraska. “È sempre così, vero?”

 

Isperia arrivò alla fine di una pagina, dopodiché appoggiò attentamente la sua penna. Lei alzò lo sguardo, con i suoi avveduti occhi chiari.

 

“C’è qualcosa che desiderate dirmi” disse la sfinge.

 

“Quanto sapete di me?” disse Vraska.

 

“Abbastanza” disse Isperia. “Foste un’assassina per conto dei Golgari. Date le recenti rivelazioni, è probabile assumere che siate anche una Planeswalker.”

 

“Volete sapere come ho fatto a scoprire di essere una Planeswalker?”

 

“Ammetto di avere una certa curiosità su tale argomento.”

 

“Sono nata qui, a Ravnica” Vraska iniziò a camminare avanti e indietro, seguita dai calmi occhi di Isperia. “Nelle sue profondità, ovviamente, ma non sono mai stata un membro dei Golgari. Non ero… politica, e loro mi volevano usare soltanto come uno strumento.” Si toccò delicatamente i tentacoli. “Volevo soltanto rimanere fedele alla mia natura. Cacciare, da sola e in libertà.

 

Avevo diciassette anni quando il Senato decise che i Golgari erano diventati troppo potenti, troppo numerosi. Dovevano essere respinti da certe zone che avevano reclamato. Le altre gilde rimasero a guardare mentre i soldati Azorius si calavano nelle profondità ed ammassavano pacifici putrificatori, kraul, chiunque gli capitasse a tiro. A loro non interessava che fossimo membri della gilda oppure no. Mi presero per ciò che ero, non per ciò in cui credevo, e mi gettarono in prigione insieme agli altri.”

 

“E che prigione.” Vraska si voltò bruscamente per guardare Isperia negli occhi. “I vostri scribi sono bravi con le leggi e i princìpi, ma non hanno lo stesso talento quando passano alla logistica di base, vero? Eravamo in cinque, sei, sette per cella. Erano pensate per farti degenerare, e quando accadde il giro di vite fu feroce. Iniziarono a trasportarci con delle celle improvvisate per la città. Io ero bloccata in qualche lurida cantina con altre cinquanta persone.

 

Ci tennero lì per delle ore. Dei giorni. Nessuno nel Senato sapeva che fare. Stavamo morendo di fame, sporchi per i nostri stessi scarti, e l’unica cosa che ci dicevano le guardie era che dovevano aspettare di ricevere nuove istruzioni. Alla fine qualcuno perse le staffe. Le guardie contrattaccarono.”

 

“Io non stavo nemmeno lottando.” Vraska si guardò le mani. “Non avevo mai avuto a che fare molto con gli abitanti della superficie, al tempo, ma sapevo che stavano aspettando una scusa. Una gorgone è pericolosa. Non possiamo fare altro se non essere pericolose, giusto? Se avessi lottato, o ribattuto, avrebbero avuto la loro occasione per uccidermi. Quindi rimasi in un angolo, mi trascinarono via e mi pestarono comunque. Mi ricordo il momento nel quale realizzai che non si sarebbero fermati, che sarei morta in quella cantina puzzolente, per nessuna ragione alcuna. Non lo potevo accettare. Quindi io… me ne andai.”

 

“Eseguiste un viaggio planare” disse Isperia.

 

“È un modo di vederla” concordò Vraska. “L’altro modo è dire di essermi svegliata in una palude, con metà delle costole rotte e nessuna idea di dove fossi.”

 

“In base alle informazioni condivise da Niv-Mizzet” disse Isperia, “le esperienze traumatiche sono un innesco comune per l’accensione della scintilla di un Planeswalker.”

 

“Capisco” mormorò Vraska. Smise di camminare, direttamente di fronte alla sfinge. “Credo di dovervi ringraziare, allora, per aver acceso la mia.” I suoi tentacoli si spostarono. “Non gli Azorius. Voi. C’era il vostro nome sull’ordine di arresto.”

 

“Lo so” disse Isperia. “Ero giudice supremo al tempo. Mi ricordo le rivolte che descrivete.”

 

“Sicuramente spiacevoli” disse Vraska. “Così gli Azorius le descrissero: ‘spiacevoli’.”

 

“Sì.”

 

Vraska fece un passo in avanti. “Vi spiace? Di aver firmato quell’ordine?”

 

“No” disse Isperia, tranquillamente. “Furono fatti degli errori nell’esecuzione, ma il principio era corretto. I Golgari erano veramente diventati più pericolosi, e l’equilibrio era minacciato. Il Senato deve agire nel miglior interesse di Ravnica.”

 

“Lo fareste ancora.”

 

“Se necessario.”

 

“Immaginavo.” Vraska sospirò. “Jace mi disse che io dovrei agire nel miglior interesse di Ravnica. Per un po’, pensai che avesse ragione. A bordo della mia nave, insieme alla mia ciurma, ci avevo creduto.” Scosse la testa. “Tornando qui, però…”

 

“Eppure siete venuta a questo concilio” disse Isperia. “Avete messo per primi gli interessi di Ravnica.”

 

“Sì, l’ho fatto.”

 

Mi dispiace, Jace. Sembrava tutto così semplice a bordo della Belligerante. Ti sbagliavi sul mio conto.

 

Vraska alzò lo sguardo, e i suoi occhi vennero pervasi da una luce dorata.



Questa volta, i delegati arrivarono in massa, girando in tondo davanti al grande portone. Ral vide i rappresentanti dei Simic parlare tra loro in una stretta cerchia, mentre Emmara litigava con i suoi compagni elfi e Borborygmos, rannicchiato nel corridoio, grugniva dall’esasperazione. Dovin Baan stava parlando tranquillamente ai due soldati Azorius fuori dalla porta, finché un assistente non si affrettò verso di lui con una lunga chiave di ferro.

 

“Le mie scuse” disse Dovin. “A quanto pare la porta è stata chiusa la scorsa notte, per qualche ragione.”

 

Girò la chiave, ed i soldati spinsero il portone. Ral fece un passo in avanti, poi si bloccò.

 

La sala della conferenza appariva più o meno come il giorno precedente. La grande finestra era aperta, e la pioggia si era sparsa sul marmo e aveva scurito le tende bianche. Seduta in cima al circolo della conferenza, dove si trovava anche la sera precedente, c’era Isperia. Stava indietreggiando, con le zampe posteriori completamente appoggiate al pavimento, e il suo calmo volto presentava un’espressione di sorpresa. E, dal naso alla coda, era pura pietra grigia, come una statua incredibilmente dettagliata.


Trofeo dell'Assassina | Seb McKinnon
Trofeo dell'Assassina | Seb McKinnon

A Ral ci volle un momento per processare ciò che stava vedendo, ed un altro momento ancora per riprendere a respirare. Prima che potesse parlare, nel corridoio esplose il pandemonio.

 

“Assassinio!” muggì la minotaura, spostandosi di fronte ad Aurelia.

 

“La gorgone!” gridò uno degli elfi. “Dov’è?”

 

Ral si rese conto che Vraska non era nella folla di ambasciatori nello stesso momento di tutti gli altri, e il vociare aumentò di livello.

 

“È una trappola!” gracchiò il rappresentante Simic con gli occhi di pesce. “Ci ha attirati al massacro!”

 

Solo Dovin Baan sembrò capace di mantenere la calma. Entrò nella stanza, osservò la capogilda pietrificata, poi si voltò verso i soldati Azorius nel corridoio.

 

“Stabilite un perimetro, Capitano. Voglio che perlustriate questo edificio da cima a fondo. E qui voglio il doppio della sicurezza.”

 

“Coordinerò le mie forze perché vi assistano” disse Aurelia. Le sue ali si aprirono di scatto per farla sfrecciare attraverso la stanza e farla uscire dalla finestra aperta.

 

“State tutti calmi” disse Dovin, voltandosi ancora. “Siete tutti sotto la nostra protezione-”

 

“E vediamo bene quanto valga la vostra protezione!” sbottò il rappresentante dei Simic. “Io me ne vado all’istante.”

 

La discussione tra gli elfi stava aumentando mentre i maghi Simic dalle tuniche viola camminavano velocemente verso l’uscita. Gli altri elfi che si erano presentati insieme a Emmara si voltarono per seguirli, e la stessa Emmara guardò Ral con uno sguardo triste, scuotendo la testa, prima di affrettarsi per raggiungere la sua delegazione.

 

Ral guardò disperatamente Dovin. “Forse se andassimo da qualche parte ad aspettare-”

 

“Faccia-da-pesce ha ragione” disse Kaya. “Dovremmo andarcene da qui finché è sicuro. Se Vraska ci ha traditi, non abbiamo modo di sapere cos’altro avrà in serbo.”

 

“Ma-”

 

“Mi dispiace.” Kaya toccò leggermente Teysa su una spalla, lei annuì, dopodiché se ne andarono.

 

Almeno per quello, sembrava essere stato raggiunto un consenso. Hekara si affrettò al fianco di Ral mentre gli altri delegati fuggivano, scusandosi nel frattempo. Ral li fissò tutti quanti, ancora mortificato, incapace di credere quanto velocemente le cose fossero cambiate.

 

Ci eravamo così vicini. Percepì l’antica rabbia ribollire. Così dannatamente vicini. E Vraska…

 

“Ed ora?” disse Hekara, con esitazione.

 

Borborygmos ruggì furiosamente prima di camminare buffamente per il corridoio. Il suo traduttore raniforme si inchinò a Ral.

 

“Il capogilda mi ordina di dire che ha sacrificato molto per trovarsi qui, secondo il volere di Niv-Mizzet. Molto rispetto e onore tra la sua gente. Ora dovrà sicuramente affrontare degli sfidanti. Desidera che sappiate che ora avete la sua animosità.”

 

“Animosità?” disse Hekara, mentre il traduttore si inchinava nuovamente e si voltò per andarsene.

 

“Un modo gentile di dire che mi staccherà la testa la prossima volta che mi vedrà” mormorò Ral. Si voltò e si ritrovò Lazav alle spalle, avvolto nel suo tremolante mantello di illusione. “Ve ne andate anche voi, suppongo?”

 

“Solo per il momento” disse Lazav. “I Dimir rimangono a vostra disposizione, nel caso troviate un modo per procedere. Ma vorrei sfruttare questo momento per ricordarvi del mio avvertimento.”

 

“E quale sarebbe questo avvertimento?”

 

“Che non ero io quello del quale non avreste dovuto fidarvi.” Lazav porse un inchino sfocato e tremante, dopodiché la sua immagine si sciolse.

 

Ecco fatto. Ral si sentiva come se fosse stato completamente svuotato. È finita…

 

Aveva pensato che quel momento sarebbe stato diverso. Aveva posto la propria fiducia in Hekara, in Kaya, in Vraska. Perché, per tutto ciò che è sacro a Ravnica, ho pensato che sarebbe andata bene?

 

Ed ora…

 

Chiuse gli occhi. Dietro le palpebre, riusciva a vedere le mappe del Labirinto Implicito che aveva compilato per Niv-Mizzet, al tempo della sfida che aveva creato il Patto delle Gilde Vivente. Le strade conducevano nei territori di ogni gilda. Era una complessa rete di magia che sosteneva i rinforzi portanti di Ravnica. Cambiarli richiedeva il benestare di tutte le gilde, proprio perché la magia toccava ogni gilda.


Indizi Scoperti | Jaime Jones
Indizi Scoperti | Jaime Jones

A meno che…

 

Sentì qualcosa risvegliarsi nel suo subconscio. Pianificazioni e progetti, una macchina che si sarebbe estesa per tutto il Decimo Distretto.

 

Un modo per andare avanti.

 

I suoi occhi si aprirono.

 

“Ral?” disse Hekara.

 

Non siamo alla fine.” Ral si passò una mano tra i capelli, facendo tornare la sua acconciatura con un crepitio elettrico. “Non ancora.”

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