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Indomita, Parte 3

Delle molte menzogne che aveva recitato di fronte al Barone di Vernot, il processo da seguire per aggiungere una nuova vita al Bestiarco non era tra queste. La reliquia creava veramente un’immagine istantanea dei morenti, e qualunque incantesimo fosse impresso nel nucleo del Bestiarco non si limitava solo a quello, riuscendo a trasformare ogni straccio di ricordo di una creatura nei suoi ultimi momenti nell’animale al suo stato originale. Ci fu un tempo nel quale Vivien, ovviamente, non era l’unica che poteva compiere il rituale. Anche il suo compagno sciamano possedeva quella conoscenza.

 

Ma ora Vivien era l’ultima di Skalla.

 

E il barone non aveva intenzione di fidarsi di ciò che affermava. Senza che nessuno ne fosse veramente sorpreso, il barone reclutò una piccola schiera di segretari che seguissero Vivien in ogni sua mossa, con pergamene tenute sotto braccio ed una penna nelle loro mani preferite. A loro volta, dei giovani chierichetti li seguivano, trasportando vasetti di inchiostro. “Per i posteri”, disse il barone, informando Vivien e agitando del brandy in un calice di ambra lievemente traslucida, con l’espressione tempestosa a causa della sua mancanza di fiducia.

 

Ciò che sorprese Vivien fu l’attrezzatura che trasportarono nella sala da ballo: aureole di cavi, insieme a pali metallici e artefatti filigranati infusi di incantamenti che non riconosceva. La sua perplessità non durò a lungo. I servitori del barone assemblarono velocemente il congegno attorno al mostrosauro morente. Vennero chiamate altre suore all’interno della stanza e, mugugnando un paio di note, evocarono una barriera scintillante.

 

“Dentro”, disse il barone.

 

Vivien obbedì.

 

Non ci sarebbe stata l’opportunità di rivedere il processo, non con ciò che Vivien aveva in mente, non con la verità che stava mantenendo rannicchiata dietro i propri denti: gli ultimi rituali di un mondo perduto da tempo. Aveva una sola occasione perché tutto funzionasse. La Planeswalker passò leggermente le proprie dita lungo la superficie della barriera magica. Nonostante fosse quasi completamente traslucida, al tatto sembrava un muro d’acciaio.

 

Vivien si accucciò di fianco al dinosauro. Il rettile in quel momento era talmente debole da non reagire quasi al suo tocco, esalando solamente un letargico rantolo di morte, col respiro che puzzava di bile, ruggine, carcasse e, molto, molto leggermente di una tintura di lillà e zafferano. L’animale sbatté le palpebre molto lentamente in direzione di Vivien. I suoi condotti lacrimali trasudavano un’emulsione biancastra.

 

“Anestetici”, disse lei, pacatamente.

 

Le suore si guardarono tra loro, così come gli scribi.

 

“O alcool. Qualsiasi cosa vi permetta di utilizzare la vostra generosità in questa situazione.” Vivien strinse la bocca. “So che non fa parte del vostro credo personale, ma il Bestiarco è estremamente preciso. Se acquisisse questo essere al massimo del suo dolore, l’evocazione sarà in una condizione analoga. Come potete immaginare, è difficile combattere quando si è devastati dal dolore.”

 

Il barone appoggiò il suo brandy, versandosene una nuova dose, prima di agitare la mano verso le suore, irritato. “Fate come dice.”

 

Le suore obbedirono. Mentre la loro magia si faceva strada nel mostrosauro, esso sospirò e si lasciò andare, dando la parvenza di rimpicciolirsi durante la recessione verso quel nuovo torpore. I suoi occhi si chiusero fremendo e, lentamente, la pausa tra un respiro e l’altro iniziò ad allungarsi.


Pia Interdizione | Lake Hurwitz
Pia Interdizione | Lake Hurwitz

“Ecco”, disse Vivien, e mormorò una preghiera alle ceneri di Skalla, con la voce talmente bassa da essere sicura che neppure i non morti di Luneau sarebbero riusciti a comprendere le sue lodi. Accarezzando il largo muso del mostrosauro un’ultima volta, Vivien si alzò, con il peso spostato verso il Bestiarco, la cui punta era incastrata in una crepa tra le piastrelle del pavimento.

 

Nessuno stava più cercando di simulare apatia. L’intera stanza si sporgeva in avanti nell’atto di osservare: ogni nobile, ogni cortigiano, perfino le inservienti della cucina si piegarono doppiamente a causa del peso della loro mansione. Osservavano, impazienti come dei segugi. Vivien fece girare il suo dito indice ed il pollice, accarezzando il Bestiarco come fosse un amante. Le era rimasto solamente un trucco, un’ultima cosa da provare. Vivien si inchinò verso il proprio pubblico, trattenendo le risate.

 

Era ora.

 

La Planeswalker sbatté tre volte il Bestiarco sul pavimento, e al terzo impatto il suono echeggiò. Dell’energia si scatenò e scaturì attraverso la sala da ballo, rimbalzando sulle pareti, sibilando attraverso i legacci dei lampadari, un bagliore trasparente di luce sui volti di tutti coloro che stavano osservando. Poi, come per qualsiasi esplosione, il potere tornò indietro, ululando, verso il punto di origine. Il pavimento ai piedi di Vivien si irradiò a tal punto da sembrare che la realtà si fosse sfaldata, lasciando solo il bianco, solo una luminosità così intensa da non lasciare spazio al concetto di ombra.

 

Vivien colpì nuovamente il pavimento con il Bestiarco.

 

L’artefatto si aprì. Si dispiegò in una corteccia metallica e in alcuni rami con qualche fioritura ogni tanto, e in configurazioni geometriche di una lega misteriosa e luccicante. Il Bestiarco si divise fino a rivelare la sua anima, una saetta di luce talmente luminosa da far lacrimare gli occhi di Vivien. Ma lei osservò tutto senza mai sbattere le palpebre. Il mostrosauro si meritava almeno quel gesto di dignità.

 

Riusciva a percepire i frammenti dello spirito del mostrosauro, un flusso di agitazione mai espressa e di rabbia per la quale era sempre stato troppo esausto perché potesse essere soddisfatta. Con attenzione, Vivien introdusse il potere del Bestiarco per tutto il suo scheletro danneggiato, persuadendo quell’ultima scintilla di coscienza ad unirsi a lei grazie a promesse che vibravano attraverso quella connessione. Il mostrosauro non fece resistenza. La inondò come un torrente, scivolando sul legame verso il Bestiarco con uno stridio di gioia. Vivien fremeva, cercando di abituarsi a quel momento, disorientata dalla piccolezza del proprio corpo mentre la presenza del mostrosauro stava rimpicciolendosi per occupare una piccola parte nei suoi pensieri più reconditi. Il corpo della creatura in quel momento venne racchiuso nella stessa strana lega che ricopriva il Bestiarco, finalmente in pace.

 

“È stato tutto molto bello e drammatico. Veramente un bello spettacolo.” La voce del barone. “Quindi, ha terminato?”

 

Vivien sbattè le palpebre, stupefatta. Della luce traspariva dalla punta delle sue dita e dalla sua lingua. Sapeva di calcio e gesso, una furia che non aveva mai sperimentato prima, una furia per la quale avrebbe potuto divorare il mondo intero. Quella era una novità.

 

“Sì.”

 

“Bene.” Sventolò una mano. “Ora vediamo i risultati.”

 

“Sì”, disse nuovamente Vivien, lentamente, con le parole che le parevano melassa che fluiva tra i denti. Fece vibrare il Bestiarco, lo sentì ronzare sotto il delicato tocco del suo pollice, con il mostrosauro vicinissimo alla superficie. Era l’unico modo per tenerlo a riposo. Il suo fervore filtrava attraverso il solo contatto, infiltrandosi fin nelle ossa di Vivien. Cosa stava succedendo? Le essenze all’interno del Bestiarco normalmente erano molto più tranquille, mezze assopite, felici di essere al sicuro, immobili e silenziose nell’oscurità dell’artefatto. Ma non il mostrosauro.

 

La Planeswalker resistette con tutte le sue forze all’impulso di lanciarsi contro il barone, si costrinse all’immobilità e sollevò il Bestiarco, quando il barone si schiarì la gola.

 

“No. Sarà qualcun’altro a fare gli onori.”

 

Fece un cenno ad una guardia, che sarebbe benissimo potuto essere un toro trasformato in una forma più consona. L’uomo aveva il collo talmente spesso da non presentare distacco tra la gola e la mascella. Guardò Vivien in malo modo mentre si muoveva pesantemente verso di lei; il campo di forza si aprì per permettergli di entrare. Il barone gesticolò verso le suore e le loro voci cantarono nuovamente, rinchiudendo la guardia all’interno dell’area di contenimento insieme a Vivien.


Sacramento Sanguinario | Bastien L. Deharme
Sacramento Sanguinario | Bastien L. Deharme

“Adesso mostragli come fare.”

 

Vivien porse il Bestiarco alla guardia imbronciata. Nonostante la stazza, l’uomo dimostrò una destrezza che Vivien non avrebbe mai osato immaginare: le sue dita erano molto rapide, nonostante somigliassero a salsicce. Il Bestiarco cantò sonoramente quando lui sollevò la reliquia, e la guardia lo puntò con maestria, estendendo il braccio ed incoccando la freccia di Vivien. Dopo un impercettibile movimento delle sue dita carnose, il suo corpo venne scagliato fuori.

 

La Planeswalker si voltò nuovamente verso il barone, con un’espressione calma. “Te l’avevo detto.”

 

“Non lo accetterò”, sibilò lui. “Eravamo riusciti a richiamare l’orso. Deve esistere un procedimento. Qualcosa che non mi sta dicendo. Lo sta facendo di proposito? Deve essere così.”

 

“Il Bestiarco è mio. Non obbedirà ai comandi di nessun altro.”

 

“Bugiarda.”

 

Vivien sollevò l’artefatto in segno di sfida. “Se tu vuoi provare, sei il benvenuto.”

 

Il barone strinse la mano a pugno e Vivien decise, con morboso piacere, che lo sguardo sulla sua faccia sarebbe stato sufficiente. Decise che, indipendentemente da ciò che si sarebbe scatenato di lì a poco, indipendentemente da tutto ciò che sarebbe accaduto, quel ricordo della palese frustrazione del barone sarebbe stata una luce alla quale aggrapparsi. Lei sorrise. “Ti avevo avvertito.”

 

“Zitta.”

 

Vivien diede un’occhiata ai resti della carcassa della guardia. Il Bestiarco aveva fatto del suo peggio. Quasi per caso, Vivien si accorse di un movimento. Si piegò verso il basso.

 

Un ragno. Vivien osservò in silenzio l’aracnide che si faceva cautamente strada dalla tasca della guardia verso il limite della barriera. Era talmente piccolo che l’incantesimo ignorava la sua esistenza, talmente piccolo che i vampiri non erano consci della sua presenza.

 

A Vivien venne un’idea.

 

“Il problema”, disse la Planeswalker. “Il problema delle persone come te è come spesso ignoriate le piccole cose, come crediate che i meccanismi del mondo operino senza sforzo alcuno, mossi solo dalla vostra volontà. Date per scontato che gli ingranaggi non esistano. Non riuscite neppure a vederli.”

 

“Cosa va blaterando?” Sbottò il barone, raggiungendo velocemente il muro di luce che li separava.

 

“Dimmi”, Vivien si fece consapevole del mondo nei suoi pensieri, percepì il ragno sussultare e crescere sotto la sua attenzione. “Ti sei mai chiesto come ci si potrebbe sentire ad essere piccolo ed insignificante come un ragno?”

 

Non diede al barone l’opportunità di rispondere, con il suo potere che pulsava attraverso il mondo: ghirigori verdi che scaturivano da un cerchio attorno a lei. Il barone alzò rapidamente lo sguardo, spalancando gli occhi.

 

“Cos’ha fatto?”

 

Ingrossato dalla magia di Vivien, il ragno divenne grande quanto un piccolo cane, quanto un giaguaro, quanto un orso. Cresci, pensava lei, rivolta al ragno, tracciando in aria un sigillo con movimenti rapidi e poco aggraziati delle dita. Allarmato dalla sua crescita, l’aracnide si voltò e si lanciò verso il re. Le suore e i nobili si lasciarono sfuggire delle grida alla sua vista, concentrando improvvisamente tutta la loro attenzione sul sovrano. In mezzo a quel caos, le suore allentarono la stretta sulla prigione di Vivien.


Ragno Gigante | Randy Gallegos
Ragno Gigante | Randy Gallegos

Era proprio quello che sperava. Senza perdere tempo, incoccò una nuova freccia e liberò il proiettile non appena le pareti svanirono. La freccia bruciò in aria, spandendo braci, fino a diventare ossa e vivaci piume intrise di magia, fino a formare un corpo non più azzoppato dalle ferite, ma un corpo perfetto e immacolato, splendidamente pronto a compiere quell’ultimo disperato desiderio.

 

La freccia si conficcò nel muro, ed il mostrosauro etereo si liberò, ruggendo, dando forma ai poteri di Vivien all’interno del nuovo contenitore ospite dell’anima del rettile. Fece oscillare la testa, sbattendo gli occhi, e nemmeno lo shock di essere nuovamente in vita distrasse il mostrosauro dal suo intento. La creatura era morta affamata di vendetta. Non se ne sarebbe andata tranquillamente senza aver prima soddisfatto quella brama.

 

Vivien si lanciò di lato mentre il mostrosauro caricava verso il Barone di Vernot, con cortigiani urlanti che si disperdevano dietro di lui ed alcuni altri più sfortunati che erano stati travolti dalle sue zampe artigliate, appiattiti talmente tanto da poter essere piegati in due parti. Le rare guardie abbastanza leali da rimanere salde lungo la sua traiettoria vennero scagliate sui lati, lanciate contro le pareti con un colpo di testa della creatura.

 

La figura scintillante del mostrosauro si alzò verso il firmamento, aprendo il soffitto come fosse stata la buccia di un frutto. Dall’alto cadevano macerie e cenere. L’edificio gemette. I pilastri, ora liberi, cedettero uno dopo l’altro, facendo crollare l’intera muratura sotto la forza di gravità. Non che qualcosa di tutto questo fosse servito a dissuadere il mostrosauro dagli occhi selvaggi.

 

Contro ogni pronostico, il Barone di Vernot non fuggì. Nonostante fosse stato abbandonato dalle sue coorti e la sala da ballo stesse collassando, rimase in piedi, con i denti scoperti e la spada sguainata, con la sua figura che sembrava una bambola in confronto all’enormità del mostrosauro. Divenne un’ombra sfocata che zigzagava verso l’alto, rivelando lo sfruttamento della sua velocità aumentata e delle macerie in caduta come punti d’appoggio per la sua traiettoria ascendente. Vivien notò uno scintillio d’argento mentre il barone sfrecciava, ma indipendentemente dalle abilità del singolo, indipendentemente dalla differenza di potenza offerta dall’addestramento, la natura sceglieva i suoi favoriti in modo empirico.


Lamadonte Furioso | Izzy
Lamadonte Furioso | Izzy

In fondo, la vita è sempre stata una gara di pura potenza.

 

La spada del barone attraversò in modo innocuo il buco sotto l’occhio destro del rettile, erodendosi in un grumo di metallo. Prima che il vampiro potesse spingersi per cambiare direzione, il mostrosauro fece scattare la testa verso l’alto, lanciando il barone in aria. Vivien vide una fugace espressione di sorpresa nel volto del vampiro, palese anche da quella distanza. E più velocemente del barone, più velocemente di quanto qualcuno si sarebbe mai aspettato, il mostrosauro fece scattare in avanti le sue fauci, quasi come un serpente a sonagli, rinchiudendo il torso del vampiro tra i suoi denti.

 

Vivien era talmente sbalordita che rimase ferma, ad osservare.

 

Il mostrosauro la guardò con uno sguardo afflitto. La sua espressione era così ridicolmente contemplativa, così umana nella sua incertezza, che le venne quasi da ridere a quella vista. Il barone fissò la bestia che l’aveva catturato, con un terrore animale che si faceva pian piano strada sul suo volto. Poi, con un’incredibile dose di autocontrollo e molta cerimonialità, il mostrosauro concluse il morso e le due metà di ciò che un tempo era il Barone di Vernot caddero silenziosamente e confusamente sul terreno.


Quasi tutte le evocazioni di Vivien presentavano una natura transitoria, e di rado persistevano per più di un minuto, contente di dissiparsi dopo un frettoloso flirt con il caos. Ma il mostrosauro non si voleva dissipare. Dopo aver sistemato il Barone di Vernot, il rettile ora era senza ambizioni, ma non rimase in quello stato a lungo. Annusò l’aria una volta prima di imboccare con sicurezza una strada che li portò oltre le porte del palazzo, noncurante dei cortigiani che ancora si agitavano al suo passaggio. Vivien lo seguiva, ignorata a causa della sua evocazione.

 

La loro traiettoria li fece passare attraverso il Serraglio Reale, che ora brulicava di fauna agitata, i cui prigionieri erano galvanizzati dalla vicinanza del mostrosauro o semplicemente emozionati dalla puzza di distruzione che c’era nell’aria. Non ci volle molto a Vivien per prendere una decisione. Mentre il mostrosauro girava un altro angolo, lei fece scorrere la propria magia attraverso una famiglia di gnu, alimentando le loro cellule finché le creature non crebbero abbastanza da sfondare la loro prigione. E fece lo stesso a tutto ciò che incontrava. Malleocefali, coatl e grossi orsi. Il potere si snodava tra di essi come fossero fulmini.

 

Alcuni degli animali lottavano, annodandosi tra loro: carnivori e prede che si staccavano carne a morsi l’uno dall’altro. Ma la maggior parte non faceva così. Come il mostrosauro in carica, sembravano tutti assorbiti dal pensiero di vendetta. I loro curatori, precedentemente al sicuro, sapendo che gli animali erano sedati contro le conseguenze della propria crudeltà, presto si ritrovarono ingaggiati in battaglie all’ultimo sangue. Le urla riempivano l’aria.

 

E il mostrosauro manteneva comunque la sua forma, in qualche modo, mosso potentemente da qualcosa. La sua ira, forse? O quella di Vivien? La Planeswalker decise che non aveva importanza. Invece di preoccuparsi di quello, contò i minuti tra la manifestazione corporea e la sua disintegrazione. Ogni volta che il mostrosauro scintillava mentre iniziava a cessare la sua esistenza, lei lanciava una nuova freccia in aria. I corridoi si aprirono in una galleria. Qui, il mostrosauro si fermò, inclinando la testa da un lato. Degli uomini con parrucche stratificate e delle donne ricoperte di polveri perlacee fissarono inebetiti la scena, con i loro corpi alti ed innaturali.

 

Una ragazza magra quanto una ringhiera, difficilmente definibile adulta, vacillò in avanti con fare insicuro. Un guinzaglio era stretto nella sua mano: Vivien seguì la corda fino al suo punto di aggancio sul collare di un piccolo raptor. Qualcuno aveva imbellettato le sue scaglie di smeraldo e vestito il suo collo con una gorgiera talmente goffamente larga da ostruire la sua vista. Vivien guardò la creatura con sguardo accigliato. Era deprimente.

 

In quel momento, il mostrosauro iniziò a sparire, riducendosi ad una serie di puntini luminosi, il contorno di una creatura che di lì a poco si sarebbe ridotta in una foschia indistinta. Vivien accennò un pugno, con la comitiva ancora in silenzio, ancora ammutolita da ciò che aveva osservato. Dietro di lei, si poteva sentire il ruggito del Serraglio Reale ancora in rivolta, ed il basso clamore dei suoi inquilini regolarmente interrotto da grida terrorizzate.

 

“Suppongo”, disse Vivien, infine. “Che questo sia il momento nel quale abitualmente si pronunci un discorso drammatico.”

 

Il raptor saltellò in avanti, con la testa che scattava da una parte all’altra, utilizzando movimenti rapidi e simili a quelli di un uccello. Cinguettò una nota di curiosità verso Vivien.

 

“O, almeno, nel quale vi si spieghi cosa stia accadendo.”

 

I suoni stavano diventando più forti.

 

“Non so per certo quale sia il protocollo per tutto questo.” Un sorriso si presentò spontaneamente sul suo volto. “Ma sento che una qualche forma di esposizione informativa sia necessaria.”

 

Rilassò la propria mano.

 

“Cosa significa tutto questo?” Iniziò un uomo dall’aspetto patriarcale con la barba corta ed il fisico ancora formidabile nonostante l’avanzare della mezza età. Adagiò le sue lunghe dita sul fodero della sua sciabola, lanciando uno sguardo ostile. “Chi sei tu? E cosa sta succedendo a palazzo?”

 

“Qualcuno, un tempo, mi descrisse la morte di una nazione come un atto di ‘pietà’. Non capii veramente le sue ragioni al tempo, o da dove provenisse. Ma ora, ora capisco perfettamente.” Vivien disegnò lentamente, con le dita, delle forme ad otto, con la magia che iniziava ad accumularsi nei palmi delle sue mani, raggi di potere luminescente. “Comunque. Questo è un atto di pietà. Questa è l’ultima volta che vedrete Luneau. Domani a quest’ora le terre selvagge reclameranno nuovamente questo luogo e voi non sarete altro che un brutto ricordo da dimenticare.”

 

Vivien chiuse il pugno e il raptor si fece scappare un sibilo confuso. Il suo corpo iniziò improvvisamente a contorcersi dalle convulsioni. A differenza degli ospiti del Serraglio Reale, non crebbe in maniera uniforme. La creatura subì degli attacchi di crescita, coordinati dai movimenti della mano di Vivien e da quelli del suo potere, che si distendeva verde e serpentino dalla sua figura. Prima le gambe, la coda, poi la testa, prima che anche il torso, finalmente, seguisse ciò che stava accadendo al resto del corpo. Per tutto il processo, la sua padrona non poté far altro che fissarlo, con la bocca semiaperta dalla perplessità.


Gigantosauro | Jonathan Kuo
Gigantosauro | Jonathan Kuo

Nel giro di pochi secondi il raptor superò le dimensioni della sua signora, dovendosi chinare per osservarla con un luminoso occhio color ametista. In tutta risposta, lei boccheggiò in silenzio, facendosi sfuggire una vibrazione di suono ad alta frequenza. “Che-che-che-”

 

Il suo ex animaletto non condivideva lo stesso stupore. Indietreggiò, cinguettando diverse note cristalline, facendo capire di aver perso completamente l’interesse verso la sua proprietaria. Poi, senza alcuna riserva, scattò in avanti e serrò le sue mascelle attorno al cranio del vampiro, con i denti che frantumarono le vertebre.

 

La decapitazione della giovane vampira fece muovere qualcosa all’interno della folla. Il caos si fece largo a ondate tra quei borghesi, diffondendosi e crescendo finché non divenne un’isteria: tutte le pretese di un comportamento illuminato, dimenticate di fronte alla carneficina. Quelli tra loro con la capacità minima di intendere e di volere si avvicinarono a Vivien, sibilando, ma la Planeswalker li osservava con vaga indifferenza.

 

Si stava avvicinando qualcosa.

 

Un secondo prima che la carica irrompesse sfondando le porte, Vivien fece un passo laterale. I suoi avversari, d’altra parte, ebbero giusto pochi secondi per guardare in alto, e pochi secondi per prendere nota delle bestie che stavano assordando il corridoio. Mentre i fuggitivi del Serraglio Reale rendevano pan per focaccia ai loro tormentatori, Vivien si ritrovò a sorridere.


Il Palazzo Reale si frantumò come una carcassa ridotta a brandelli da degli sciacalli. A fasi alternate, senza troppa convinzione, l’architettura lottava per mantenere la sua struttura verticale. La gravità, tuttavia, possedeva un appetito insaziabile. Ben presto il Palazzo Reale crollò, alzando polvere tutt’intorno.


Triceratopo da Assedio | Filip Burburan
Triceratopo da Assedio | Filip Burburan

Ma Vivien Reid non aveva affatto finito con Luneau.

 

Bisognava scatenare altro caos.


La caffetteria era, in più di un modo, indistinguibile da tutte le altre che adornavano il quartiere culturale di Luneau. In quella parte della città, musei e sconci matinée condividevano le stesse strade. L’arte si manifestava in molte forme, alcune meno piacevoli di altre, ma Luneau non era incline ad essere particolarmente moralista. Le gastronomie godevano di vivaci affari grazie a questa generosa ideologia. C’erano sempre dei clienti. A volte erano studiosi ed esperti, desiderosi di uno spazio per poter discutere ed ammazzare la giornata. A volte erano individui più dozzinali, lussuriosi e in cerca di un luogo dove potersi sedere. Indipendentemente dalla loro natura, erano inevitabilmente carichi di soldi e, per la gioia del proprietario di questa specifica caffetteria, spesso estremamente generosi con le mance, sotto forma di fiale di sangue.

 

L’uomo in questione studiava il proprio riflesso allo specchio. Era alto, smilzo, con le spalle troppo strette per poterlo considerare robusto. Ma non era sgradevole alla vista. Perlomeno, questo era quello che era riuscito a dedurre dalle interazioni con la sua clientela femminile. Il proprietario corresse l’angolo della propria parrucca. Doveva apparire perfettamente ordinato.

 

La sera era afosa, nemmeno sfiorata da nulla che potesse assomigliare ad una brezza, e l’aria si adagiava su Luneau come un panno bagnato con acqua calda sopra un cadavere. Non che la cosa sembrasse importare a molti. L’elite della città, soprattutto chi figurava tra i ranghi della Legione del Vespro, sembrava avere una certa preferenza verso quel clima, così da potersi crogiolare al calore, mentre per gli umani era solo stancante.

 

Con una lenta camminata, si avvicinò verso il luogo dove si erano seduti gli ultimi clienti arrivati. Entrambi erano ufficiali decorati, magri ed incredibilmente curati nonostante il molto tempo impiegato nelle spedizioni in terra straniera. Al proprietario piacevano proprio per quella ragione. Quasi tutti gli esploratori ad un certo punto perdevano interesse per l’igiene, insieme a qualsiasi riconciliazione con quel concetto.

 

“La vostra colazione”, disse il proprietario.

 

Gli risposero con uno sguardo ed un tiepido sorriso. Il proprietario appoggiò delle vettovaglie ben disposte.

 

Luneau tremò sotto i suoi piedi.

 

Un terremoto? Era possibile. Anche se venivano colpiti di rado da questi tremori, non era un fenomeno sconosciuto e, come tale, il proprietario non vide una vera ragione per preoccuparsi. Avrebbe dovuto garantire una posizione sicura allo scaffale delle spezie ed assicurarsi che la modesta collezione di bottiglie di vino del locale rimanesse ferma nel suo apposito alloggio. Piccoli dettagli. Semplici faccende. Nessun problema.

 

“Smettila di tenere il broncio”, disse uno dei due uomini. Il proprietario rallentò il passo per origliare. I pettegolezzi dei militari erano sempre belli.

 

“Come se tu ne fossi contento. Sai anche tu che il Barone di Vernot sta studiando il dispositivo in questo momento”, disse il suo compagno.

 

Il primo uomo lasciò fuoriuscire un rumore esasperato. “Allora spero che fallisca. Se riuscisse a decifrare quello stupido artefatto, perderemmo il lavoro.”

 

“Stai attento alla lingua che ti ritrovi”, rispose il suo amico. “Quello che dici è tradimento.”

 

“Non è tradimento. È la verità. Se Luneau imparasse ad utilizzare una cosa del genere, saremmo lasciati a mendicare per le strade. Ricordati le mie parole. Ai reali non frega niente delle persone come noi, medaglie o meno. Se potranno creare i loro animali, perché dovrebbero pagare noi per trovargliene degli altri?”

 

Prima che il suo amico potesse rispondere, il tremore sotto i loro piedi, che era rimasto costante ma inoffensivo, divenne improvvisamente qualcosa di impossibile da ignorare, qualcosa che ricordò al proprietario un episodio della propria giovinezza ancora più impossibile. Una volta all’anno, come per bilanciare la propria trivialità, il piccolo insediamento dal quale proveniva si concedeva un’insolita tradizione:

 

Liberava dei giovani raptor per le strade.

 

Come si sia arrivati ad una tale bizzarra tradizione e perché si pensasse che fosse necessario che gli adolescenti raccogliessero le piume direttamente dai rettili in agitazione era qualcosa che il proprietario aveva sempre rifiutato di comprendere. Ma come ogni immigrato da quella città, come ogni uomo o donna nati in quelle colline, dentro di sé si ripresentarono i ricordi di come la terra tremava ogni anno, sotto i piedi di quella carica.

 

Questo era peggiore.

 

Molto peggiore.

 

La caffetteria di fronte alla sua, nella loro strada chiusa, collassò come una gamba spezzata, completamente spianata dai corpi animali che stavano inondando le strade e che stavano ruzzolando tra di essi in una tempesta di pelo, artigli e gole ululanti. In altre circostanze, il proprietario sarebbe rimasto deliziato da quella vista, ma non c’era tempo. Non c’erano nemmeno le parole per descrivere ciò che stava vedendo. Lemuri lanciati verso le balaustre, cacciati dalle aquile. Bovini di diverse dimensioni, gatti dai denti a sciabola ed altri più domestici. Il suono della porcellana che si frantumava attirò l’attenzione del proprietario.


Liberare il Serraglio | Simon Dominic
Liberare il Serraglio | Simon Dominic

Osservò e rise, mezzo isterico e mezzo affascinato dalla situazione. C’erano dei tori nel loro negozio di porcellane locali, che inseguivano la clientela impomatata per le strade. Ed ovunque c’erano umani vestiti di stracci, cameriere, macellai e marinai a petto nudo che gridavano di gioia mentre correvano in mezzo a quel caos, quasi non rendendosi conto del pericolo. A differenza dei proprietari dei negozi, loro sì che stavano vedendo questo evento come una festa, una celebrazione primitiva come nulla che il proprietario riuscisse a ricordare.

 

E in mezzo a tutto quel trambusto, c’erano anche i dinosauri:

 

Sì, i raptor della gioventù del proprietario, solo che erano adulti e dalle vivide piume. Branchi di lenti egisauri che caricavano come tori. Dorsospini e lamadonti, che si sforzavano di essere più veloci dei mostrosauri, dei tiranni e degli oscuri saprofagi sbranamorte. Questi non avevano interesse nelle strade. Ne creavano di nuove al loro passaggio, devastando la città e facendo crollare gli edifici. Gli erbivori compirono la dissacrazione di Luneau ad un livello superiore. Loro si fermarono per mangiare i giardini pensili della città, mordicchiando i loro fiori fino alle radici.

 

Mentre il quartiere culturale di Luneau veniva evacuato dalle case e dai negozi, con il diluvio di fauna selvatica che demoliva rapidamente ogni cosa lungo il proprio cammino, il proprietario si lasciò andare in una risata, delirante dalla confusione. Capì in un secondo momento ciò che stava accadendo: quelle creature non erano sbucate dal nulla, erano il triplo delle loro normali dimensioni, troppo enormi per essere vere. Com’era potuto accadere? Nulla sembrava reale.

 

Un rumore attirò la sua attenzione. Si voltò per vedere un paio di mostrosauri che barcollavano attraverso i corpi in movimento. Una nuova coppia per la riproduzione, portata a Luneau per sostituire gli ultimi due. Ma non fu quello ad attirare la sua attenzione. No, fu la donna seduta sulla testa dell’esemplare femmina, la cui espressione era fissa in una smorfia di macabra soddisfazione.


Se si fosse deciso di ricostruire Luneau, pensò freddamente Vivien, sarebbero serviti diversi decenni prima di completare l’opera. Si abbassò per accovacciarsi, tenendosi in equilibrio sulla testa del mostrosauro, e saltò mentre stavano superando una balconata. Vivien fece un salto mortale con nonchalance e si fermò, rialzandosi con un movimento fluido. Si spolverò la camicia. Le sarebbe servito del vero cuoio, qualcosa che non potesse impigliarsi nei rovi e strapparsi alla minima resistenza. I gusti di Luneau, anche quelli più umili, erano assolutamente molto poco pratici.

 

Un brontodonte si muoveva pesantemente vicino al punto sopraelevato dove si trovava Vivien. Era quello del suo viaggio in nave? Era difficile capirlo. La traversata dell’oceano le sembrava un evento accaduto tantissimo tempo prima. Di certo sperava che fosse lo stesso brontodonte. Per quanto il pericolo dei carnivori del Serraglio Reale fosse superiore, sarebbe comunque stata un’entità da temere. Soprattutto se la sua specie fosse stata incline al rancore e alla buona memoria. Forse avrebbe potuto trovare una compagna nelle terre selvagge di Luneau. In qualunque caso, sarebbe passato molto tempo prima che i vampiri della città creassero altri problemi al resto del mondo. Ora c’erano i dinosauri nelle loro giungle, e in numero maggiore di quanto mai avrebbero potuto sperare di gestire.

 

Vivien si appese al parapetto, osservando l’anarchia che aveva scatenato su Luneau. Il Serraglio Reale, o ciò che ne rimaneva, aveva iniziato a scoprire i giardini pensili della città. Lei sorrise, compiaciuta dalla situazione più di quanto fosse giustificato. Ma il soggiorno ad Ixalan era stata un’esperienza illuminante.

 

Quasi spontaneamente, le sue mani accarezzarono il Bestiarco. Vivien non si era resa conto di quanto fosse semplice separare la reliquia dalla sua persona, o del rischio più che fondato di essere rubato ed utilizzato da altri. Doveva fare qualcosa al riguardo. Vivien non avrebbe tollerato il ripetersi di quella situazione. Ma forse la risposta si trovava con gli abitanti del Bestiarco.

 

Il mostrosauro si era dimostrato estremamente utile. Perfino più di qualsiasi altra acquisizione di Vivien. E come sarebbe potuto essere altrimenti? Era più grosso e più feroce di ogni altra cosa che faceva parte del suo arsenale. Se Vivien avesse continuato a trovare prede più grandi da cacciare, avrebbe potuto trovare una risposta.

 

Chiuse gli occhi. La membrana che separava i piani qui era più sottile, non più spessa di uno strato di pelle. Attraverso il velo, Vivien riusciva quasi a vedere il prossimo mondo in cui sarebbe andata. Drago. La parola rimbalzò nel suo cervello, formando immagini di creature colossali, antiche e spaventosamente strane, esseri con polmoni pieni di fiamme ed una risata beffarda. Nicol Bolas non era l’unico drago del Multiverso. Ce n’erano altri. Più piccoli, meno astuti, ma comunque draghi. Se avesse imparato ad imbrigliare il loro potere, se fosse riuscita a capire la loro funzione, avrebbe potuto imparare i segreti per distruggere Nicol Bolas.

 

Ma prima, aveva bisogno di un bersaglio.

 

Vivien ebbe una reminescenza di conversazionoi riguardo i draghi di Shiv, il cui nome veniva solo sussurrato a bassa voce. Per paura, avevano detto gli anziani Ghitu, che potessero vagare verso i loro insediamenti, attirati dalla pronuncia del loro nome.

 

Ma se un drago di Shiv fosse stato attratto verso la sua posizione, non sarebbe stata la cosa migliore da desiderare?

 

In lontananza, Luneau si raggruppava contro l’insurrezione.

 

Nulla sfuggiva verso il vespro, nessun suono, eccetto il basso clamore degli infuriati uomini d’arme e di animali elefantini che muggivano in tono di sfida. Vivien si grattò un sopracciglio, prima di iniziare a ridere innocentemente.


Cascata Sulfurea | Cliff Childs
Cascata Sulfurea | Cliff Childs

La Planeswalker si sgranchì le spalle e respirò profondamente. Alzò una mano, toccando l’aria con il palmo, percependo la struttura dell’universo sotto la propria pelle. Poi premette, ed il Multiverso, viscoso come miele, cedette sotto la pressione, inglobandola a partire dal braccio. Vivien dedicò un ultimo sguardo ad Ixalan, prima di teletrasportarsi sul piano successivo e sentire la dura e calda aria di Shiv sulla propria pelle.

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