La Tempesta Incombente - Capitolo 15
- Django Wexler

- 17 set 2019
- Tempo di lettura: 19 min
“Non si può fare, Mastro Zarek.” Il capomastro era tarchiato, con dei baffi da tricheco, una lucente testa glabra e due braccia che sembravano dei tronchi d’albero. “Gli operai stanno già dormendo in piedi. Non avete idea di quanto sia difficile farsi arrivare le attrezzature laggiù. Non ci sono abbastanza gru né slitte, e i nostri trasportatori detestano l’odore, quindi dobbiamo portare tutte le parti a mano-”
“Non esiste il ‘non si può fare’” disse Ral. “Esiste solo motivazione insufficiente. Riferisci alla Chimimaga Frexus, di sotto, che ho detto che potete usare i suoi costrutti per trasportare le componenti. Quelli sicuramente non avranno nulla da ridire sull’odore.”
“Ma i suoi costrutti esplodono se le caldaie si scaldano troppo! Ero presente ad una riunione sull’argomento proprio la settimana scorsa.”
“Bene! È un incentivo per spostare le cose più rapidamente, allora!” Ral gli mostrò un sorrisetto. “Per quanto riguarda gli operai, dì loro che gli raddoppierò la paga se riusciranno ad installare il risonatore in tempo.”
“Ehm…” Il capomastro si asciugò la fronte. “Credo che gli sia già stato promesso il doppio…”
“Allora in questo caso si quadruplicherebbe la paga normale, dico bene?” Dopotutto, se perdiamo, difficilmente penseranno a riscuotere il pagamento. Ral si concesse un attimo di divertimento al pensiero degli operai danneggiati che si rivolgono a Bolas per il pagamento dei loro stipendi arretrati.
“Ah… Io… Eh…” Il grand’uomo sorrise tremante. “Ma… si applicherebbe anche al… personale di supervisione, mastro?”
“Se il risonatore sarà completato e funzionante secondo la tabella di marcia.”
“Sarà fatto, Mastro Zarek.” Il capomastro si avvicinò. “Contateci.”
“Lo faccio.” Tutti noi ci contiamo.
Era tornato dalla Città Sepolta martoriato e scosso, ma c’era stato tempo soltanto per un breve riposo prima che quell’ossessivo progetto richiedesse nuovamente la sua completa attenzione. Una squadra di difensori e maghi della legge Azorius si erano messi immediatamente all’opera, erigendo barriere magiche intorno al sito sotterraneo del risonatore per respingere eventuali rappresaglie dei Golgari. Anche le truppe Boros e Orzhov rimasero in loco, lavorando nervosamente fianco a fianco. Ma erano i suoi uomini quelli che avevano il compito di costruire il risonatore stesso, ed allinearlo con la rete in continua crescita.

Altri tre giorni. Ecco quanto tempo sarebbe servito. Tre giorni, e Niv-Mizzet riuscirà a mettere in atto il suo piano. Se poi sarebbe bastato per fermare definitivamente Bolas, soltanto il Mentefiamma lo sapeva, ma perlomeno Ral avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per riuscirci. Se Bolas ci concede tre giorni…
Lavinia era stata il suo miglior legame al progresso dei piani di Bolas, ma non l’aveva vista dal disastroso vertice delle gilde. Probabilmente non era un buon segno, ma lui non aveva tempo di organizzare una ricerca. Sa badare a sé stessa, questo è sicuro. Tranne che, contro Bolas, nulla era sicuro-
“Mastro Zarek?” Una voce di goblin dal corridoio. Ral alzò lo sguardo e trovò uno dei suoi segretari personali a sbirciare da dietro lo stipite della porta.
“Cosa c’è?” sbottò Ral.
“C’è qualcuno che insiste nel volervi vedere. Dice che è urgente.”
“Tutto è urgente” disse Ral.
“Lui dice che lo vorrete vedere” disse il goblin. “Si chiama… Tomik?”
Tomik è qui? Non si erano mai incontrati al Nivix. Dovrebbe sapere benissimo che-
“Fallo entrare” disse brevemente Ral, appoggiando la sua penna sul lato della scrivania.
Un attimo dopo Tomik entrò, chiudendo la porta dietro di lui. L’amante di Ral sembrava stanco, come sempre ultimamente. I suoi occhi erano scavati, e i suoi capelli disordinati. Ral bilanciò un’ondata di irritazione a causa dell’intrusione di Tomik in quel luogo e l’impulso di prenderlo tra le sue braccia.
“Ho sempre pensato che il tuo ufficio fosse un po’... più imponente” disse Tomik, guardandosi attorno in quella piccola suite squallida. “Senza offesa.”
“Di solito non passo molto tempo qui” disse Ral. “Le ultime settimane sono state… un’eccezione.”
“Non sei venuto a trovarmi dopo che sei tornato dalla Città Sepolta.”
“Ti ho mandato un messaggio” disse Ral, percependo una fitta di colpa. “Sai benissimo quanto è critico questo momento.”
“Lo so” disse Tomik. “Volevo solo-Volevo parlarti di una cosa.”
“Una cosa che non può aspettare dopo la potenziale fine di Ravnica?” disse Ral.
Tomik alzò gli occhi al cielo. “Non è una cosa personale. Non sono così ingenuo. Si tratta di… bè, affari di gilda.”
“Capisco.” Ral si dondolò sulla sedia. “Molto bene. Qual è il problema?”
“È Kaya. E Teysa. Penso…” Prese un profondo respiro. “Penso che Teysa stia compiendo… un errore.”
“Come mai?”
“Kaya sta cambiando le cose. Per il meglio, credo. Ci sono cose che gli Orzhov fanno che… tutti noi cerchiamo di ignorare, a volte, ma lei si rifiuta di farlo.”
“E Teysa non è d’accordo?”
“No. E nemmeno gli altri leader della gilda.”
“Possono farci qualcosa?”
“Penso che abbiano intenzione di uccidere Kaya.”
“Ah.” Ral tamburellò le dita sulla scrivania. “E se muore lei, chi diventa capogilda?”
“Teysa, quasi certamente.”
“E continuerà a supportare il nostro progetto?”
Gli occhi di Tomik si socchiusero. “È questa l’unica cosa che ti interessa?”
“È l’unica cosa alla quale posso permettermi di interessarmi” disse Ral. “Tu sai quanto è importante tutto questo. Ciò che mi ha affidato Niv-Mizzet.”
“Anche se ciò significherebbe la morte di Kaya?”
Ral fece spallucce. “Pensavo che tu lavorassi per Teysa.”
“Sì” disse Tomik. “E Teysa ha lavorato tutta la vita per uscire dall’ombra di suo nonno. Ma se va avanti in questo modo… penso che non potrà mai sfuggirle.”
“E cosa vorresti che facessi?”
“Non lo so.” Tomik abbassò lo sguardo. “Non avevo pianificato così tanto. Pensavo solo che Kaya fosse tua amica.”
“È una mia alleata” disse Ral. “Non è la stessa cosa.”
“Capisco.” Le labbra di Tomik si strinsero. “E io, invece? Anch’io sono un alleato?”
“Certo che no.” Ral si alzò in piedi dietro la sua scrivania. “Tomik, sai che-”
“Non preoccuparti.” Tomik si voltò verso la porta. “Me ne occuperò da solo.”
Quando Kaya tornò a Orzhova, tutti reagirono come si sarebbe aspettata, ma mentre accettava le congratulazioni dei sacerdoti e dei loro assistenti, la mente di lei si immaginava la furia animalesca dietro ad ogni loro falso sorriso. Era fuggita dalla calca non appena possibile, ritirandosi nella sua opulenta suite di stanze ai piani alti della cattedrale e rifiutandosi di ricevere chiunque. Teysa le aveva inviato diversi corrieri, e Kaya li aveva tutti congedati su due piedi.
Questa cosa non può continuare. In più, le stava venendo fame. Ma posso fidarmi degli addetti alle cucine? Avrebbe dovuto andarsene dalla cattedrale per trovare un ristorante scelto a caso da qualche altra parte. E poi? Continuerò a farlo ogni sera per il resto della mia vita?
Non funzionerà mai. Aveva passato tutta la sua vita ad evitare i suoi nemici, e se ne erano accodati molti nel corso della sua carriera. Aveva sempre mantenuto un basso profilo, continuando a spostarsi. E ora sono bloccata a capo di questa chiesa, con uno stupido grosso cappello ed una camera da letto lussuosa la cui posizione è nota a tutti. Se le persone che guidavano gli Orzhov erano veramente intenzionate ad ucciderla, prima o poi ci sarebbero riusciti.
E questo significa che devo andarmene di qui. Avrebbe potuto compiere un viaggio planare, e rischiare il contraccolpo dovuto alle catene dei debiti. Forse Teysa non ne sa quanto vuol far credere. Un’altra opzione sarebbe stata quella di fuggire da Orzhova e nascondersi da qualche parte. Magari potrei trovare un mago della legge per conto mio. O chiedere aiuto a Ral, oppure-
Ci fu movimento davanti alla porta. Kaya scattò immediatamente in piedi dal letto, con il cuore a mille, ma l’unico suono che udì fu quello di alcuni passi che se ne andavano. Aspettò finché non svanirono, poi prese i suoi pugnali dal comodino e camminò molto lentamente sullo spesso tappeto che aveva in stanza.
La stanza più esterna della suite serviva per accogliere gli ospiti, e aveva un tavolino con diverse poltrone attorno. La grande porta che conduceva all’ingresso era chiusa a chiave, proprio come l’aveva lasciata lei, ma davanti ad essa giaceva un piccolo foglio di carta bianca ripiegato. Qualcuno lo aveva infilato da sotto la porta. Kaya si chiese se quello non fosse un attacco incredibilmente subdolo... del veleno sulla carta?... prima di decidere che nemmeno lei sarebbe dovuta essere così paranoica. Rinfoderò i pugnali e raccolse il biglietto.
Capogilda, c’era scritto. Siete in pericolo.
E fin qui, nessuna sorpresa, pensò Kaya.
I gerofanti hanno convinto Lady Teysa a farvi arrestare questa sera. Hanno cambiato la guardia così che abbiano in loco degli uomini leali ai loro scopi. Hanno intenzione di catturarvi e tenervi prigioniera finché non riusciranno ad estrarvi il debito degli Orzhov con la magia.
Kaya si fermò per imprecare sotto voce.
Posso aiutarvi, se riusciste a raggiungermi. Vi attenderò nelle stalle, al primo piano sotterraneo.
Cordialmente,
Un Amico
Un amico, pensò Kaya, che non è incline a rivelarsi. Ma effettivamente non poteva biasimare il suo benefattore sconosciuto. Se hanno il fegato di arrestare la loro capogilda, chissà cosa potrebbero mai fare a chiunque decidesse di aiutarla.
La domanda era, ovviamente, se lei si fidasse di questo informatore misterioso. E se fosse solo l’invito all’interno di una trappola? Per un attimo esitò, con il biglietto in mano. Poi, come se fosse stato fatto per farle prendere una decisione, udì lo sbattere di stivali pesanti lungo il corridoio.
“Capogilda?” La voce da fuori era ovattata, come se provenisse dall’elmo chiuso di un cavaliere.
Bè, direi che questo pone fine alla questione. Quando Teysa voleva parlarle, mandava un servitore, non una guardia armata.
“Solo un momento!” disse Kaya. Controllò i suoi pugnali nei foderi, prese un profondo respiro e si inabissò nel pavimento.
Quella era un’operazione più complessa di quanto non apparisse, dato che implicava un preciso tempismo per evitare di cadere più giù di quanto previsto o di incastrarsi a metà tra due piani. Visto che Kaya aveva una sorta di paranoia, si era fatta qualche giretto per Orzhova, e si assicurò che le stanze esattamente sotto le proprie fossero gli alloggi personali di un qualche gerofante, con tutto lo spazio per atterrare che le serviva.
Si aspettava un anziano confuso, magari in vestaglia, ma niente che non potesse gestire. Ciò che non si aspettava erano una decina di soldati armati, tutti in attesa con le armi sguainate, e tre maghi in tunica ai lati della stanza.
Oh, diamine. Doveva essere opera di Teysa. Mi stava osservando troppo.
Ma in quel momento non c’era tempo per preoccuparsene. Kaya atterrò di fianco a una guardia che si allungò per afferrarla. Lasciandosi attraversare dalle sue braccia in movimento con una vampata di luce viola, lei si abbassò e gli diede un calcio sul ginocchio, facendolo cadere con un fracasso di metallo. Un altro uomo si avvicinò con un manganello, e Kaya gli prese il braccio all’altezza del polso per torcerlo dolorosamente, lanciandolo sul pavimento oltre di lei.
“Ora!” disse qualcuno ad alta voce. “Il vincolo!”

Dell’energia vibrò per la stanza quando i tre maghi alzarono le mani. Della luce crepitò e si frammentò attorno a Kaya, un alone contorto viola e blu. Dopo un attimo, detonò con un’esplosione silenziosa, un’ondata di radianza spettrale che attraversò tutti i presenti nella stanza, lasciandoli illesi.
Penso sia arrivato il momento di uscire da qui. Kaya incanalò il proprio potere di incorporeità, ma la luce viola che solitamente accompagnava la sua transizione era debole e intermittente, brillando a tratti su zone diverse del suo corpo per qualche secondo prima di svanire definitivamente. Il pavimento sotto di lei era rimasto ansiosamente solido al tatto.
“È intrappolata!” Una donna dai capelli argentei con un’uniforme da luogotenente era in piedi vicino alla porta. “Prendetela! E ricordate, a Lady Teysa serve viva.”
Triplo diamine. A quanto pare Teysa aveva rivolto la predisposizione degli Orzhov al legame degli spiriti in qualcosa che funzionasse contro Kaya. Probabilmente l’effetto sarebbe svanito, passato del tempo, ma per il momento quella manovra l’aveva lasciata circondata da soldati armati di manganelli che si stavano avvicinando.
Ha bisogno che io sia viva, per evitare che qualche guardia a caso erediti tutti i contratti di Nonno Karlov. Ma io non posso dire lo stesso di loro. Percepì un po’ di colpa mentre estraeva i suoi pugnali, le guardie non avevano fatto altro che seguire gli ordini. Ma non c’è altro modo.
Caricarono. Kaya schivò il primo uomo, e gli tagliò di netto la gola mentre lei roteava all’indietro, poi trasformò quel movimento in un calcio che spedì una donna contro l’uomo che si trovava dietro di lei. Una guardia cercò di colpirla in testa da dietro, Kaya si abbassò e roteò nuovamente, conficcando un pugnale sotto la sua ascella, dove l’armatura era sottile. Lo tirò nuovamente fuori e danzò via, in direzione della porta. La luogotenente si dimenò con la sua mazza, cercando di sbarrare la strada a Kaya, ma Kaya schivò il colpo muovendosi verso il basso e risalì lanciando una gomitata contro la mascella della donna, chiudendole la bocca di scatto e facendole sbattere i denti tra loro. Lei barcollò, sputando un po’ di sangue, Kaya aprì la porta, vi sgusciò oltre e la sbatté alle sue spalle.
Ci volle qualche minuto, forse meno, prima che l’allarme divenisse generale. Lei corse per il corridoio, e mentre si spostava si concentrò sul suo braccio. Brillò brevemente di intangibilità, ma il potere svaniva troppo rapidamente. Quindi non potrò entrare nelle pareti per un po’. Ciò significava che era bloccata all’interno di Orzhova. Quindi c’è solamente un posto in cui andare. Speriamo di ricordarmi come trovare le stalle. Questo posto è un labirinto-
“Eccola!” urlò qualcuno. “Fermatela!”
Più avanti, due guardie accompagnavano un cavaliere in armatura e bloccavano un incrocio a T. Abbassarono le lance, e il cavaliere estrasse la spada. A quanto pare non tutti hanno ricevuto la circolare sul fatto di non uccidermi. Fantastico. Era chiaro che si aspettassero che Kaya si fermasse. Invece li caricò, accucciandosi per evitare le punte delle lance. L’inerzia della sua corsa spinse una guardia donna contro il muro, facendole uscire tutto il fiato. Si accasciò su un lato, e Kaya si lanciò via, schivando un colpo verso il basso dello spadone del cavaliere. Lui alzò nuovamente la sua arma per mettersi in guardia, ma lei lo aveva già oltrepassato, continuando la sua fuga. Vediamo come mi sta dietro con quell’armatura.
Le scale principali si trovavano davanti a lei: un’apparentemente infinita serie di spirali ellittiche che conducevano al cuore di Orzhova. Nella tromba delle scale riecheggiava tutta una serie di suoni: armature scosse e stivali che sbattevano, man mano che le guardie si riunivano. Kaya andò verso il corrimano con il cavaliere all’inseguimento dietro di lei, e le scalinate in basso si riempirono con una mezza dozzina di soldati.
Oh, questo è molto, molto stupido. Invece di fermarsi, lei saltò sul corrimano, appollaiandosi per un attimo sul ferro battuto, in equilibrio a decine e decine di metri di altezza sul vuoto. Il cavaliere si fermò di colpo, terrorizzato, osservandola mentre ondeggiava. Kaya gli fece un saluto con la mano, poi fece un passo oltre il bordo.
Si concentrò completamente sui suoi piedi mentre cadeva, man mano che oltrepassava i vari piani. Usava spesso un trucco in quelle situazioni: diventare intangibile al giusto ritmo per rallentare la caduta sfruttando la frizione contro un muro, senza però strapparsi via una mano per fermarsi troppo bruscamente. Era da un po’ che non faceva pratica, perché onestamente non era una cosa che poteva essere provata così spesso. E il fatto che il vincolo dei maghi rendesse ogni suo tentativo di utilizzare il suo potere come camminare nella melma rendeva le cose peggiori.
Ma l’alternativa era finire con lo spiaccicarsi sul pavimento di marmo in fondo alle scale, quindi Kaya cercò di farcela. Il suo braccio si dimenava dolorosamente quando si aggrappava ad ogni piano di scale per diminuire l’inerzia, facendo partire un dolore alla spalla prima di lasciarlo nuovamente tornare intangibile e scivolare attraverso la pietra per afferrare quello successivo. L’impatto, quando arrivò, fu comunque più pesante di quanto avrebbe voluto, e qualcosa nel suo ginocchio sembrò scrocchiare, innescando una fitta di dolore. Andò zoppiccando verso la porta di legno che conduceva ai livelli inferiori di Orzhova.
Zoppicante o meno, però, era riuscita a lasciarsi alle spalle le guardie che la stavano cercando, per il momento. Il fondo della scalinata portava alla parte pubblica dell’edificio, dove i postulanti e i penitenti potevano venire a pregare, chiedere soldi in prestito o entrambe le cose. Kaya sgusciò in una grande galleria, che circondava la navata centrale della cattedrale, e si fece strada tra i sacerdoti e i funzionari Orzhov dai bei vestiti ed i loro supplicanti vestiti di stracci. Alcuni la riconobbero, nonostante la mancanza dell’uniforme di gilda, ed un’ondata di mormorio confuso dilagò al suo passaggio.
Non ha importanza. Si infilò in un’altra grande scalinata, evitando i passanti curiosi, verso la porta principale. Devo uscire di qui, e aspettare che questo dannato vincolo sparisca. Poi… Bè, avrebbe potuto pensarci dopo. Per ora, la cosa importante è andarsene.
Altri due piani verso il basso e iniziò ad avere la visuale delle porte principali: delle ante enormi attualmente spalancate. Si stava formando una folla da entrambi i lati, e Kaya riuscì a vedere un paio di cavalieri ed una falange di guardie estesa lungo tutta la lunghezza dell’entrata. Penso di avere un’idea su chi stanno cercando. Si voltò di colpo, dirigendosi nell’altra direzione. Va bene. Le stalle, primo livello sotterraneo. Quindi, vuol dire verso il basso, giusto?
C’era una scalinata molto stretta che andava verso il basso, alla sua destra. La imboccò, oltrepassando qualche addetto in uniforme, e sbucò in un corridoio della servitù senza alcun mobilio. Varie porte di legno gli si presentarono da entrambi i lati, ma Kaya continuò a muoversi, arrivando alla conclusione che le stalle sarebbero dovute essere adiacenti alle vie. Se riesco ad avvicinarmi abbastanza, potrei anche seguirne l’odore. Stava per girare un angolo quando il frastuono di passi pesanti la fece bloccare sul posto.
“Andate nella sala principale!” gridò qualcuno davanti a lei. “Immediatamente!”
Kaya si lanciò contro la porta più vicina, la trovò chiusa e fece un passo indietro. Si concentrò incredibilmente, digrignando i denti, e fece scivolare la mano attraverso il legno, cercando il chiavistello dalla parte opposta. Le sue dita in ricerca non toccarono nulla, e stava per rinunciarci e fuggire quando la porta fece click e si aprì di sua volontà. Kaya si fiondò nello spazio scuro con gioia e chiuse di scatto la porta dietro di lei proprio quando udì da fuori il suono delle truppe che passavano oltre.
Si trovava in una specie di deposito. Sentiva l’odore di cera ed olio per le lampade, e la dolce fragranza dell’incenso che i penitenti bruciavano per chiedere il perdono dei loro peccati finanziari. Appoggiata alla porta e in attesa che i suoi occhi si adattassero alla fioca luminescenza che filtrava sotto di essa, Kaya riprese fiato.
Nell’oscurità più profonda, qualcosa si mosse.
“Chi è là?” Kaya alzò i pugnali e parlò con un duro sussurro. “Grida e ti taglio la gola.”
“Che gratitudine” disse la voce di uomo. “Dopo che ho aperto per te il mio piccolo nascondiglio.”
“Non sono in vena di fidarmi di chiunque.”
“Immagino di no.” L’ombra di un uomo si mosse nell’oscurità. “Hai avuto una giornata difficile, Kaya.”
Come-ma certo. Le labbra di Kaya si incurvarono. “Bolas.”
“In carne e ossa. Oppure no, in questo caso. Ma sono comunque qui per controllare la tua situazione. Non mi hai soddisfatto ultimamente, lo sai?”
“Soddisfarti non è la mia massima priorità” disse Kaya.
“Ma dovrebbe esserlo.” La pedina di Bolas si avvicinò. “Ho io le chiavi delle tue catene, dopotutto. Potresti liberarti di questo posto, di queste persone.”
“Se ti aiuto a distruggere Ravnica, ovviamente.”
“E per te cosa rappresenta Ravnica? Solo un’altra città. Soltanto un altro incarico.” Lei riusciva a sentire il ghigno nella sua voce. “Questa non è la tua gente. Questa gilda, questi sacerdoti-banchieri. Li odi, vero? Nelle piccole miserie che infliggono riesci a vedere un riflesso della tua gente. Cercano potere, sperando di trovare la felicità, e nelle generazioni si vedranno presentato il conto con gli interessi.”
“È vero.” Kaya non l’aveva capito fino a quel momento, ma quella vecchia lucertola aveva ragione.
“Allora dovresti essere felice della mia venuta. Li spazzerò via come rifiuti, insieme a tutte le loro menzogne e le loro catene.”
“E le persone che vengono a supplicare?” disse Kaya. “Le aiuterai, vero?”
“Lo farò.” La voce umana della pedina di Bolas acquisì un piccola nota della bassa vibrazione del drago. “Fintanto che si inginocchieranno.”
Kaya scosse la testa. “Non ne vale la pena.”
“E quindi? Sei una capogilda in fuga dalla sua stessa gilda. Non sopravvivrai a lungo, e anche se ci riuscirai, perirai insieme a tutti gli altri quando arriverò io.”
“Allora morirò combattendo” disse Kaya, raddrizzandosi. “Ma nel frattempo, posso fare del bene qui, a queste persone.”
“E al tuo popolo, con il loro cielo spezzato?”
“Troverò un altro modo” disse Kaya. “Non avrei mai dovuto fare un patto con te, drago. Avrei dovuto sapere che qualsiasi cosa offrissi, non sarebbe valso il prezzo.”
“Sei una sciocca.”
“Forse.” Kaya rinfoderò i pugnali e aprì lentamente la porta, ora che il corridoio esterno era silenzioso. “Ma lo sono a modo mio.”
Le stalle erano scure, illuminate da una sola lanterna tremolante, e c’era odore di un miscuglio di escrementi di più specie diverse. Kaya sgusciò oltre la soglia, muovendosi con cautela, e notò una figura incappucciata in attesa vicino alla lampada. Camminò lentamente in avanti, con le mani pronte sui pugnali.
“Sei tu quello che mi ha mandato il biglietto?” disse lei, quando fu abbastanza vicina.
L’uomo sussultò, facendo cadere indietro il cappuccio. Kaya lo riconobbe: Tomik Vrona, l’assistente personale di Teysa. Non è chi mi sarei aspettata. Anche se in realtà non so cosa mi stessi aspettando.
“Capogilda” disse lui, inclinando la testa. “Non ero sicuro che ce l’avreste fatta.”
“Ci sono state situazioni un po’ difficili” ammise Kaya. “I maghi di Teysa mi hanno colpito con… qualcosa.”
“Un vincolo” disse Tomik. “Li ho sentiti pianificare l’attacco.”
“E tu hai provato ad avvisarmi” disse Kaya. “Non che mi lamenti, ma perché?”
“Voi siete la mia capogilda” disse lui. “È mio dovere.”
“Teysa è stata la tua padrona per molto tempo” disse Kaya. “Ho visto il rispetto che nutri per lei. Perfino io non avrei potuto biasimarti se avessi preso le sue parti rispetto ad una capogilda che quasi non conosci.”
“Io-” Tomik esitò. “Io credo che Teysa stia commettendo un errore. È in una posizione molto difficile, e-vorrei proteggerla.”
“Da chi? Da me?”
“I gerarchi l’hanno continuata a pressare con delle richieste. Temono che voi perdonerete i debiti su larga scala, e che di conseguenza ne soffrirebbe la loro ricchezza. Vi vogliono fuori dagli Orzhov. Se lei provasse a contrastarli, schiaccerebbero anche lei, Karlov o meno. Il sistema, prima di ogni cosa, difende sé stesso.”
“Ci credo” disse Kaya. “Il tuo biglietto diceva che potevi aiutarmi. Come?”
“Se voi vi confrontaste con i gerarchi-” iniziò a dire Tomik.
Qualcosa si crepò nell’oscurità.
Kaya si voltò, estraendo i pugnali. Tomik prese velocemente la lanterna e la alzò sopra la testa, e lei lo sentì trattenere il respiro. La luce brillò su delle maschere fatte di monete fuse: gruppi su gruppi di thrull, stipati nelle cabine e attorno alle lunghe stalle vuote. Ce ne saranno centinaia. Kaya sentì il sudore colarle sulla fronte, e strinse la presa sulle sue armi.

“Ve lo giuro” disse Tomik a bassa voce. “Non ho nulla a che fare con questo.”
“Ti credo” disse Kaya tristemente. “Sono sicura che sarà una bella consolazione quando ci faranno a pezzi.”
“Potrei…” Tomik scosse la testa. “Non ho idee. Avete per caso un’arma in più?”
Silenziosamente, Kaya estrasse un lungo stiletto dal fodero nascosto alla vita e glielo passò. Tomik abbassò lo sguardo sull’arma e si sistemò gli occhiali con un triste sorriso.
“Meglio di niente, suppongo.”
I thrull si avvicinarono. Kaya deglutì.
Qualcosa brillò di un bianco accecante. Una delle porte delle stalle esplose, facendo volare pezzi di legno bruciato dappertutto, accompagnati da un suono assordante che fece scendere della polvere dalle travi. L’esplosione lasciò un buco fiammeggiante che conduceva alla via esterna, e contornato dalle luci della città si trovava un alto uomo vestito con un lungo cappotto, con una strana acconciatura ai capelli e dei fulmini che scattavano su e giù per le sue braccia.
“Ral!” gridò Tomik.
“State fermi” ringhiò Ral. “Bruciatori!”

Dei viashino vestiti di cuoio bruciacchiato si riversarono da quel buco con delle lunghe e goffe armi in mano. Mentre i thrull si stavano girando per affrontarli, dei getti di fuoco vennero lanciati in archi di arancio e rosso, come una fiamma liquida che si appigliava ad ogni superficie che toccava. La carne dei thrull sfrigolò e si carbonizzò, facendo caricare le creature verso la falange di bruciatori, ma si limitarono ad accasciarsi in una pila sempre più alta di corpi anneriti. Ral camminò in avanti, incenerendo con dei colpi di fulmine dalle sue mani qualsiasi thrull che riusciva ad oltrepassare la cortina di fiamme.
“Forza” disse lui, lasciato procedere dai due bruciatori più vicini che si erano spostati di lato. “Usciamo di qui.”
Tomik gli corse incontro, e Kaya lo seguì. Lei alzò un sopracciglio quando Ral prese l’uomo più giovane tra le sue braccia e lo baciò, mentre i ranghi dei bruciatori si chiudevano dietro di loro per iniziare la ritirata. Il fuoco si stava espandendo velocemente per le stalle, grazie alla paglia secca e al legno vecchio.
“Se posso interrompervi” disse Kaya, mentre indietreggiavano verso la strada. “Tomik, mi stavi per dire che avevi un modo per sistemare tutta questa situazione.”
“Oh.” Tomik si staccò da Ral, si schiarì la gola e sistemò i propri occhiali. “Sì. Ho dato un’occhiata ai registri, vedete-”
Nemmeno sei ore più tardi, Kaya camminava velocemente nella sala principale di Orzhova, scortata da diversi ranghi di guardie ed una coppia di cavalieri.
Era passata da molto la mezzanotte, e tutti i normali fedeli se n’erano andati. Kaya oltrepassò le panche vuote e le silenziose nicchie dove i banchieri si incontravano con i loro penitenti. In fondo alla stanza, di fronte al grande altare, i gerarchi stavano attendendo. Circa due dozzine dei più potenti uomini e donne della gilda Orzhov, con Teysa in piedi di fronte ad essi. Vestivano tutti i paramenti, sete voluminose ed elaborati gioielli, bastoni sormontati da cristalli e maschere dorate. Kaya li guardò in modo freddo, poi sorrise.
“Capogilda” disse Teysa. “Ammetto di essere sorpresa di vedervi.”
“Non mi sembrava molto educato fuggire dalla propria gilda” disse Kaya, con disinvoltura.
“Siete accusata di gravi crimini” disse Teysa. “Siete disposta a sottomettervi alla nostra autorità?”
“No” disse Kaya. “Non penso proprio.”
“Non avete scelta” disse un uomo barbuto in prima fila. “Farete quanto noi ordiniamo, o morirete, così potremo avere un vero capogilda.”
“Lei è… Benitov Gracca, giusto?” disse Kaya. Chiuse gli occhi e prese la massa di contratti che la appesantivano, le catene avvolte intorno alla sua anima. Una di esse conduceva fino a Gracca, e ci volle un secondo per distinguerla rispetto alle altre. Era spessa e pesante.
“Esatto” disse Gracca. “E la mia famiglia ha servito gli Orzhov per migliaia di anni. Un’estranea come voi-”
“Benitov Gracca” disse Kaya, pensosa. “Figlio di Orsov Gracca. Che, in un periodo di imbarazzo finanziario, fu costretto a chiedere… assistenza al Patriarca Karlov. Che lui, ovviamente, fornì come farebbe qualunque buon amico. Tranne per il fatto che l’accordo prevedeva che la famiglia Gracca avrebbe appoggiato i Karlov, qualora fosse richiesto.”
“Voi non siete una Karlov” disse Gracca. Era impallidito vistosamente.
“Io sono l’erede del Patriarca Karlov. L’erede di tutti i suoi contratti ed obbligazioni.” Kaya sorrise ancora di più e diede un piccolo strattone alla catena che li connetteva. “E lei è in violazione di questo contratto.”
Gracca sussultò e cadde in ginocchio, facendo cadere il suo bastone dorato sul pavimento con un suono limpido mentre rotolava sul marmo.
“Il Patriarca Karlov ha collezionato obbligazioni come altre persone potrebbero collezionare dei buoni vini” disse Kaya. “Brimini. Harta. Forgio.” Mentre parlava, strattonava le catene, e ciascun nome portava un mancato respiro ed un sussulto da parte di qualcuno all’interno della folla. “Tutte le grandi famiglie, in realtà. Ciascuna è tenuta ad appoggiare i Karlov, o i suoi eredi. Questa notte ciascuno di voi ha violato questo accordo.” Si guardò intorno. “Non mi sorprende che foste così felici di liberarvi di me.”
“Io non sono in debito con mio nonno” disse Teysa, facendo un passo avanti.
“No” disse Kaya. “No, infatti.” Diede un’occhiata alla folla di gerarchi, poi alle guardie tutt’intorno ed alzò la voce. “Arrestate Teysa Karlov.”
Per un lungo attimo, non successe nulla. Poi, non proprio di nascosto, uno dei cavalieri si girò per guardare Gracca negli occhi, che a sua volta diede uno sguardo agli altri suoi colleghi e annuì tremante.
“Non puoi dire sul serio” disse Teysa, mentre le guardie si stavano avvicinando a lei.
“Trattatela bene” disse Kaya. Era quella la promessa che aveva fatto a Tomik.
Teysa le lanciò una tremenda occhiataccia dall’altra parte della stanza, poi si voltò e se ne andò, davanti alle guardie, non sopportando di venire trascinata via. Il resto dei presenti rimase in silenzio finché i passi di Teysa sul marmo non furono svaniti.
“Per quanto riguarda voialtri” disse Kaya, rivolgendosi nuovamente ai gerarchi. “Penso che dovremmo discutere delle conseguenze della violazione dei vostri accordi con i Karlov, e che garanzie potrò avere perché ciò non accada mai più.” Aprì le mani. “Dopotutto, sotto i termini dei contratti originali, io sono autorizzata a richiedere il pagamento dei vostri debiti. E con gli interessi, temo che l’ammontare sia piuttosto… sostanziale.” Lei sorrise come uno squalo. “Quindi, facciamo un accordo.”



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