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I Figli del Senza Nome - Capitolo 1

TACENDA

I Sussurratori arrivarono appena prima del tramonto, e la canzone di Tacenda non bastò a fermarli.

 

Lei urlava il ritornello della Canzone di Difesa, facendo scivolare le mani sulle corde della sua viola, un dono dei suoi genitori per il suo quattordicesimo compleanno.

 

I suoi ormai erano entrambi morti, uccisi dieci giorni prima dalle strane creature che ora stavano attaccando il villaggio. Tacenda si era ripresa a malapena da quel lutto quando presero anche Willia. Ed ora erano arrivate per l’intero villaggio.

 

Dato che il sole non era ancora tramontato del tutto, lei non poteva vederli, ma poteva udire le loro voci sovrapposte mentre fluttuavano attorno alla sua postazione. Parlavano in un tono rauco e leggero, con parole incomprensibili, come se fosse un coro di sottofondo per la sua canzone.

 

Lei raddoppiò gli sforzi, pizzicando la viola con le sue dita scoperte, seduta nel suo solito posto al centro del villaggio, vicino alla cisterna gorgogliante. La canzone sarebbe dovuta bastare. Per due anni aveva fermato ogni terrore ed orrore. I Sussurratori, tuttavia, sembravano impassibili mentre fluttuavano attorno a Tacenda. E presto, delle grida umane di terrore si alzarono in un terribile coro intorno a lei.

 

Tacenda provò a cantare più forte, ma la sua voce si stava inasprendo. Tossì prendendo il respiro. Sospirò, tremante, cercando di-

 

Qualcosa di freddo la sfiorò. Le sue dita divennero insensibili al dolore e sospirò, indietreggiando e stringendo al petto la sua viola. Era tutto nero attorno a lei, ma riusciva ad udire quella cosa vicino a lei, mille sussurri sovrapposti, come pagine che venivano sfogliate, ciascuno silenzioso come un ultimo respiro.

 

Poi l’essere si spostò, ignorandola. Gli altri abitanti del villaggio non furono così fortunati. Si erano chiusi in casa, dove ora gridavano, pregavano e supplicavano… finché, uno per uno, non caddero in silenzio.

 

“Tacenda!” Urlò una voce vicina. “Tacenda! Aiuto!”

 

“Mirian?” La voce di Tacenda uscì fuori come un esausto gracidio. Da che direzione proveniva quel suono? Tacenda ruotò nell’oscurità, facendo cadere il suo sgabello con un clangore.

 

Tacenda!

 

Ecco! Tacenda fece scorrere attentamente il piede lungo il lato della cisterna per sentire le sue pietre intagliate, così da potersi orientare ed avventurarsi nell’oscurità. Conosceva bene quella zona, ed erano passati anni da quando ancora inciampava durante l’attraversamento della piazza del villaggio. Ma, nonostante ciò, non poteva evitare di percepire un picco di paura quando faceva un passo in avanti. Lì fuori, in quell’oscurità che ancora la terrorizzava.

 

Questa volta avrebbe camminato nel vuoto senza mai fare ritorno? Avrebbe continuato a barcollare in quella distesa di tenebra imperscrutabile, lontana da ogni tocco e sentimento naturale?

 

Invece riuscì a raggiungere la parete di una casa, proprio dove aveva previsto. Percepiva tutto con le sue dita scoperte, toccando il davanzale e sentendo le erbe in vaso di Mirian messe in fila, una delle quali fece cadere, a causa della fretta. Si frantumò sui ciottoli.

 

“Mirian!” Urlò Tacenda, seguendo il muro con il tatto mentre avanzava. Delle altre grida risuonavano ancora per il villaggio: alcuni strillavano in cerca di aiuto, altri urlavano in preda al panico. Quei suoni combinati erano una tempesta, non che presi singolarmente fossero molto diversi.

 

“Mirian?” Disse Tacenda. “Perché hai la porta aperta? Mirian!”

 

Tacenda si fece strada nella piccola casa, poi inciampò in un corpo. Con le lacrime che le bagnavano le guance, Tacenda si inginocchiò, tenendo sempre la sua viola con una mano. Con l’altra toccò una gonna di pizzo, ricamata proprio da Mirian, durante le notti nelle quali rimaneva sveglia per fare compagnia a Tacenda. Spostò la mano verso il viso della donna.

 

Mirian aveva portato il tè a Tacenda nemmeno un’ora prima. Ed ora… la sua pelle per qualche motivo era già diventata fredda, ed il suo corpo era rigido.

 

Tacenda fece cadere la sua viola e si spinse via, sbattendo la schiena contro il muro e rovesciando qualcosa a terra. L’oggetto caduto si crepò al suo impatto col terreno, generando un suono quasi musicale.

 

Fuori, le ultime grida si stavano zittendo.

 

“Prendete me!” Urlò Tacenda, arrivando fino alla porta. Si graffiò il braccio su un angolo vivo, strappandosi la gonna e facendo sanguinare l’avambraccio. “Prendete me, come avete fatto con la mia famiglia!” Barcollò nuovamente fuori verso la piazza principale e, mentre le urla ed il panico si esaurivano, lei captò una voce più calma. La voce di un bambino.

 

“Ahren?” Gridò lei. “Sei tu?”

 

No. Pantano, ascolta la mia preghiera. Ti prego…

 

“Ahren!” Tacenda seguì quel piccolo urlo in preda al panico verso un altro edificio. La porta era chiusa, ma la cosa non sembrava aver fermato i Sussurratori. Erano un qualche tipo di spirito o geist.


Intruso Inarrestabile | Dan Murayama Scott
Intruso Inarrestabile | Dan Murayama Scott

Grazie al suo tatto, Tacenda si fece strada verso la finestra, dove udì una piccola mano colpire il vetro. “Ahren…” Disse Tacenda, appoggiando il proprio palmo sull’altro lato del vetro. Una sensazione fredda la sfiorò.

 

“Tacenda!” Urlò il ragazzino, con la voce ovattata. “Ti prego! Sta arrivando!”

 

Lei inspirò e provò, tra un singhiozzo e l’altro, a far uscire una canzone. Ma la Canzone di Difesa non stava funzionando. Forse… forse qualcos’altro?

 

“Giorni… giorni semplici di sole caldo…” Iniziò lei, provando la sua vecchia canzone. Quella gioiosa che aveva cantato a sua sorella e alla gente del villaggio quando era ancora una bambina. “Hai una luce che calma e che ti rende saldo…”

 

Le parole le morirono sulle labbra. Come poteva cantare del sole caldo che non era mai riuscita a vedere? Come poteva provare a calmare e portare gioia, quando stavano morendo tutti attorno a lei?

 

Quella canzone… non si ricordava più quella canzone.

 

Le grida di Ahren si fermarono quando, all’interno dell’edificio, si udì un tonfo attutito. Fuori, le ultima urla si spensero. Ed il villaggio rimase in silenzio.

 

Tacenda si ritirò dalla finestra e poi, dietro di lei, udì dei passi.

 

Passi. I Sussurratori non generavano questo suono.

 

Lei si voltò verso la fonte dei passi, ed udì il fruscio di tessuto di qualcuno nelle vicinanze, che la osservava.

 

“Ti sento!” Urlò Tacenda alla figura invisibile. “Uomo del Maniero! Sento i tuoi passi!”

 

Lei udì un respiro. Perfino i suoni dei Sussurratori svanirono. Ma chiunque fosse rimasto lì ad osservare era rimasto fermo.

 

“Prendimi!” Gridò Tacenda alla seconda oscurità. “Falla finita!”

 

I passi, invece, si ritirarono. Una fredda brezza solitaria soffiava per il villaggio. Tacenda percepì gli ultimi raggi del sole che si stavano spegnendo ed il raffreddamento dell’aria. Mentre scendeva la notte, la vista di Tacenda tornò. Sbatté gli occhi mentre le tenebre lasciavano posto alle normali ombre, con il cielo ancora vagamente tiepido grazie al recente passaggio del sole. Come le braci che si aggrappano brevemente ad uno stoppino dopo che il fuoco è stato spento.

 

Tacenda si ritrovò in piedi vicino alla cisterna, con il volto pieno di lacrime e i capelli castani attorcigliati. La sua preziosa viola giaceva, con la finitura in legno graffiata, sulla soglia della casa di Mirian.

 

Il villaggio era in silenzio. Vuoto, eccetto Tacenda e i cadaveri.


Illustrazione di Jung Park
Illustrazione di Jung Park

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